Andy Rocchelli, 7 anni dopo
Il 24 maggio del 2014 il fotoreporter veniva ucciso nel Donbass, mentre documentava le condizioni dei civili coinvolti nella guerra. Ossigeno per l’informazione lo ricorda con due video e un dossier
È il 24 maggio del 2014. Andrea Rocchelli, assieme ai colleghi William Roguelon e Andrej Mironov, sta viaggiando su un taxi per le strade di Sloviansk. Si trova nel Donbass, una delle regioni ucraine più colpite dalla guerra fra ucraini e filorussi. A un certo punto il taxi si ferma davanti a un binario: qui è stato abbandonato un vecchio treno merci, crivellato di colpi, che segna il confine tra i territori occupati dai soldati ucraini e quelli occupati dai filorussi.
Poco più avanti un grande muro bianco in cemento delimita la Zeus ceramica, fabbrica italiana caduta sotto il controllo dei filorussi, che ne hanno fatto una loro base operativa. Dietro i giornalisti c’è la collina Karachun, dalla quale esercito ucraino e Guardia nazionale (soldati volontari in supporto all’esercito) controllano il territorio.
Andy, William e Andrej esplorano da giorni quei luoghi, con una missione particolare: raccontare le condizioni di vita dei civili che subiscono la guerra. Solo cinque giorni prima è stata pubblicata una lunga intervista realizzata da Andy e Andrej a una famiglia che vive sotto il terrore dei colpi, in un conflitto tra fratelli. L’intervista ha fatto il giro del mondo, le foto di Andy sono state riprese da numerose testate internazionali. Il giorno precedente l’Osce ha pubblicato un report: nel conflitto ucraino, in meno di un anno, sono stati registrati 300 episodi di violenza contro la stampa. I tre giornalisti scendono dal taxi, estraggono le macchine fotografiche e i taccuini e iniziano a documentare i segni dell’ultimo scontro armato.
Improvvisamente, si avvicina loro un uomo in abiti civili, visibilmente spaventato, che grida poche parole in lingua ucraina. Ed ecco che parte l’attacco. Una raffica di colpi di mitra e di AK-74 piove sul terreno attorno a loro. Poi il sibilo, «che paralizza il corpo» dirà William Roguelon, dei colpi di mortaio. Il gruppetto corre in fila indiana verso un vicino boschetto, i colpi «non si contano più», racconterà ancora Roguelon. L’autista del taxi cerca di fuggire e la sua auto diventa «una calamita per i colpi».
Roguelon e Rocchelli, «giornalisti fino all’ultimo respiro» dirà nella sua arringa l’avvocato della famiglia Rocchelli Alessandra Ballerini, continuano a scattare foto e girare video. «Press, press, press!», a nulla serve gridare, i colpi non tacciono. Quando William riesce finalmente a uscire dal bosco e fuggire, gravemente ferito alle gambe da schegge di mortaio, Andy e Andrej giacciono a terra senza vita.
Sono passati sette anni da quei momenti concitati e terribili. Ossigeno per l’informazione, unica testata giornalistica italiana che ha seguito con un proprio cronista tutte le udienze di primo e secondo grado del processo per l’uccisione del fotoreporter, è tornato a Pavia, sulle tracce che Andy ha lasciato nella sua città natale.
La prima traccia, visibile a tutti, sono i jersey di cemento, inizialmente posti come misura antiterrorismo in Strada Nuova e Corso Cavour, le due vie principali di Pavia, dipinti dai ragazzi del liceo artistico Volta con immagini dedicate a Andy. La guerra, i diritti umani calpestati, le armi, ma anche il dialogo, l’incontro, la speranza della pace. E poi gli anni passati nel gruppo scout Pavia 4, con i ricordi degli amici di sempre Simona Goretti, Fabio Rossi, Matteo Lo Manto, Carlo Calligari e il Barza. L’impegno a portare avanti la storia di Andy con l’associazione “Volpi Scapigliate”, la sensibilità di Andy per i diritti, con il ricordo di Assunta Vincenzo, centro antiviolenza LiberaMente, e ancora il sogno del primo viaggio in Senegal evocato da Saidou Moussa Ba, mediatore culturale e compagno di viaggio. Giornalismo, viaggi, incontri: tre elementi che si fondono e riecheggiano nel ricordo di monsignor Andrea Migliavacca, già rettore del seminario di Pavia e oggi vescovo di San Miniato.
Guardando i video si cammina così per Pavia, una città che si è stretta attorno alla famiglia di Andy, prima con il silenzio discreto del dolore, poi con la richiesta di giustizia, come ricorda Massimo Depaoli, già sindaco di Pavia. I due video (a cura di Giacomo Bertoni, in collaborazione con l’associazione Volpi Scapigliate – concept e montaggio video di Grazia Pia Attolini) saranno pubblicati sul canale YouTube ufficiale di Ossigeno per l’informazione (e ripresi qui su “Notturno”).
Dai disegni dei ragazzi del Volta, dai ricordi degli amici, la storia di Andy continua a risuonare per le strade di Pavia, così come rimangono le parole scritte nella sentenza di primo grado: i giornalisti come operatori umanitari, contro i quali non si può usare violenza mai, neanche in contesti di guerra.
C’è qualcosa di assolutamente inedito nella sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise di Pavia il 12 luglio 2019, con la quale è stato condannato il soldato italo-ucraino Vitaly Markiv a 24 anni di reclusione per concorso nell’omicidio del fotoreporter Andrea Rocchelli. C’è l’equiparazione dei giornalisti agli operatori che sotto le bombe salvano vite umane, c’è il riconoscimento del giornalismo come attività essenziale per la democrazia, c’è la condanna ferma di ogni tipo di violenza nei confronti di chi fa informazione. Il processo di secondo grado si è concluso con l’assoluzione di Vitaly Markiv, ma ciò non può cambiare la nuova presa di coscienza sugli inviati in zone di guerra.
I giornalisti sono lì, come ha ricordato più volte l’avvocato di parte civile Margherita Pisapia durante le udienze, «per raccontare una realtà che altrimenti non sarebbe conosciuta». Nel caso di Andy, inoltre, il suo lavoro dava voce a chi non aveva voce, ovvero a quei civili disarmati che vivevano ogni giorno con l’incubo che la loro casa venisse colpita. Andy ha scelto il giornalismo come missione, come scoperta. E per la prima volta una sentenza lo ha riconosciuto.
In attesa dell’esito del ricorso in Cassazione, la sentenza del Tribunale di Pavia rimane come monito: il giornalismo va difeso, chi colpisce i giornalisti colpisce la democrazia. La ricerca della verità sull’uccisione di Andy Rocchelli continua. (Riproduzione riservata)
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