Andy Rocchelli, dieci anni senza pace
Elisa Signori, mamma del fotoreporter ucciso il 24 maggio del 2014, scrive al Manifesto: «Chiedere conto di questo crimine di guerra a Kiev vuole dire per l’Italia praticare una vera politica estera»
«Ieri, 24 febbraio, era il secondo anniversario dell’inizio della guerra che miete in Ucraina vite di civili e militari, impoverisce e costringe alla fuga milioni di persone. Tra poco, il 24 maggio, saranno 10 anni dall’uccisione del fotografo italiano Andy Rocchelli, mio figlio. E di Andrei Mironov, attivista russo dei diritti umani, avvenuta nel 2014 a Sloviansk nel Donbass. Sono inoltre passati due anni e due mesi dalla fine del processo che ha definito la responsabilità delle forze armate ucraine nel duplice delitto di Sloviansk, rimasto impunito. Cosa lega insieme queste scansioni temporali? Tutto e niente». È Elisa Signori, mamma di Andrea (Andy) Rocchelli, a rompere ancora una volta il silenzio sull’uccisione del fotoreporter italiano. Lo fa con un commento pubblicato sul Manifesto del 25 febbraio 2024, un commento che ripercorre questi dieci anni di ininterrotta ricerca della verità.
«Andy e Andrei non erano schierati né coi filorussi, che nel maggio 2014 controllavano Sloviansk, né con le forze ucraine decise a riconquistarla. Andy e Andrei erano dalla parte dei civili che, sotto i bombardamenti, nascondevano i loro bambini nelle cantine, accoglievano gli orfani nelle loro case, vedevano figli e amici combattere su fronti opposti, vivevano una quotidianità stravolta», ricorda Elisa Signori.
Eppure, su questa storia di giornalismo e umanità, come ricorda ancora la mamma di Andy Rocchelli, è calato un silenzio irreale: «Tutto però lega insieme l’attacco mirato scatenato dieci anni fa contro quei civili inermi, armati solo di macchine fotografiche, e la guerra in corso perché proprio dalla sciagurata invasione russa in poi il caso Rocchelli e le conclusioni della magistratura italiana sono entrate in un cono d’ombra: tranne rare, luminose eccezioni la vicenda è diventata tabù presso i media mentre le istituzioni italiane hanno eluso il problema come si trattasse di una questione sconveniente e politicamente inopportuna».
L’uccisione di Andy Rocchelli è stata, lo si legge nelle sentenze del processo italiano, un crimine di guerra, l’esito di un attacco violento e deliberato contro civili inermi armati solo di macchine fotografiche e taccuini. A dicembre 2021 la Cassazione scrive: «La ricostruzione dei fatti porta questa Corte a concordare con le conclusioni della Corte di Assise di Pavia in merito alla provenienza dei colpi che hanno ucciso Rocchelli e ferito Roguelon: e, cioè, dei colpi di mortaio sparati dalla collina Karachun ad opera dei militari dell’Armata Ucraina». Nonostante l’assoluzione per un vizio di forma dell’unico imputato, un soldato della Guardia Nazionale ucraina, le responsabilità dello Stato ucraino sono state accertate e confermate nel corso dei tre gradi di giudizio. È possibile parlare di pace se l’attacco costato la vita a Andy Rocchelli e Andrei Mironov, colpevoli di aver fatto giornalismo alla ricerca della verità, rimane impunito?
Conclude Elisa Signori: «La Corte ritenne corretta la citazione dello Stato ucraino in giudizio quale responsabile civile perché l’immunità prevista per gli Stati non vale nel caso di violazione di diritti umani e crimini contro l’umanità e precisò: “L’attacco ha avuto luogo senza alcuna provocazione e offensiva”, si trattò dunque di “un ordine illegittimamente dato dai comandanti, perché in violazione delle norme che mirano alla protezione dei civili”. Chiedere conto di tutto ciò al governo ucraino non significa porsi al seguito di Putin e glorificare l’attacco all’Ucraina, significa praticare una politica estera degna di questo nome». (Riproduzione riservata)
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