Archie Battersbee, perché non si può tacere
EDITORIALE La Corte suprema del Regno Unito autorizza i medici a rimuovere i supporti vitali al giovane. La madre annuncia ricorso. Il silenzio di politica, stampa e Chiesa non è giustificabile
«Non ha piacere di vivere e il suo danno cerebrale è irrecuperabile. La sua posizione non migliorerà. Autorizzo i medici dell'ospedale Royal London a cessare la ventilazione meccanica di Archie Battersbee». Così ha decretato Justice Arbuthnot, giudice della Corte suprema del Regno Unito, accogliendo la richiesta dei medici che chiedono di rimuovere ogni sostegno vitale al paziente, per porre fine alla sua vita. Archie Battersbee ha 12 anni, è finito in coma dopo essere stato trovato privo di conoscenza nella sua abitazione. Secondo i medici del Royal London non esistono più speranze di risveglio, dunque il miglior interesse per il paziente sarebbe quello di morire subito. Hollie Dance, la madre di Archie, ha annunciato che farà ricorso, affermando: «Sono devastata ed estremamente delusa dalla sentenza emessa oggi dopo settimane di battaglia legale e intendo restare accanto al letto di mio figlio. Il mio istinto di mamma mi dice che Archie è ancora qui».
La vicenda richiama alla mente le storie di Charlie Gard e Alfie Evans, per fare solo due nomi, bambini inglesi uccisi su richiesta di medici e con approvazione di giudici perché non c’era per loro possibilità di miglioramento o guarigione. Il termine “uccisi” non è una provocazione che mira a sconvolgere il lettore per impressionarlo, è pura cronaca giornalistica: se a un bambino che necessita di un ventilatore meccanico per respirare viene tolto questo supporto, il bambino muore soffocato. Se il medico rimuove il ventilatore meccanico, sapendo che questo atto provocherà la morte del bambino, compie un atto eutanasico. Una morte provocata, che non ha nulla di dolce. I piccoli Charlie e Alfie sono morti soffocati, con il volto che è diventato bluastro, tra le braccia disperate dei loro giovani genitori, genitori che fino all’ultimo hanno fatto tutto il possibile per impedire l’uccisione dei propri figli.
L’opinione pubblica mondiale si mobilitò per queste due fragili vite, ma nulla poté fermare quella che Assuntina Morresi definì “eutanasia di Stato”. Come dimenticare quanto avvenuto in America con Terri Schindler? Come dimenticare quanto avvenuto in Francia con Vincent Lambert? La storia di Archie riporta prepotentemente al varco: quale bene comune? Se lo Stato abbandona il favor vitae, il cittadino (in primis il più fragile) si trova alla mercé del potere. Se lo Stato sposa il favor mortis, dunque non solo rinuncia a custodire ogni vita fino alla morte naturale, ma addirittura promuove la soppressione delle vite che ritiene non degne di essere vissute, ogni altro diritto o presunto tale decade.
Charlie Gard, Alfie Evans e Vincent Lambert sono state vittime di una sanità che guarda solo alla produttività, di una giustizia che si adegua al pensiero unico, di un giornalismo che rinuncia a cercare la verità, di una Chiesa tiepida che sceglie la diplomazia al posto della difesa dei principi non negoziabili. Quale retorica sui diritti sarà ancora possibile se l’opinione pubblica mondiale accetterà in silenzio anche l’eutanasia di Stato del giovane Archie? Con quale faccia noi italiani scenderemo in piazza per i diritti, o firmeremo editoriali di fuoco in favore delle minoranze, se oggi rimaniamo in silenzio di fronte a medici e giudici inglesi che stabiliscono quali vite sono degne di essere vissute e quali no?
Ogni istituzione perde così credibilità e senso, perde la fiducia dei cittadini: è questo il nuovo volto della sanità, ormai sempre più lontana da Ippocrate? Che senso ha la politica, con i suoi grandi carrozzoni, se non tutela i diritti fondamentali dei cittadini? Che senso ha il giornalismo, con le sue redazioni sempre più vuote, se al posto di sentinella della democrazia si fa megafono della narrazione dominante? (Riproduzione riservata)
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