Benedetto XVI e le radici della pace
Nei messaggi del pontefice tedesco il richiamo costante alla dignità della vita umana: «Il diritto alla vita e alla libera espressione della propria fede in Dio non è in potere dell'uomo»
Non può esserci pace senza il riconoscimento dei principi non negoziabili. È questo il filo rosso che lega gli interventi sulla pace di papa Benedetto XVI, diffusi durante i suoi otto anni di pontificato. Parole che tornano attuali oggi, mentre nuove nubi di guerra si affollano sul cielo dell’Ucraina. Cos’è la pace? «La pace è anelito insopprimibile presente nel cuore di ogni persona, al di là delle specifiche identità culturali. Proprio per questo ciascuno deve sentirsi impegnato al servizio di un bene tanto prezioso, lavorando perché non si insinui nessuna forma di falsità ad inquinare i rapporti. Tutti gli uomini appartengono ad un'unica e medesima famiglia – scrive Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2006 –. Occorre ricuperare la consapevolezza di essere accomunati da uno stesso destino, in ultima istanza trascendente, per poter valorizzare al meglio le proprie differenze storiche e culturali, senza contrapporsi ma coordinandosi con gli appartenenti alle altre culture. Sono queste semplici verità a rendere possibile la pace; esse diventano facilmente comprensibili ascoltando il proprio cuore con purezza di intenzioni. La pace appare allora in modo nuovo: non come semplice assenza di guerra, ma come convivenza dei singoli cittadini in una società governata dalla giustizia, nella quale si realizza in quanto possibile il bene anche per ognuno di loro».
Ma questa convivenza non si può realizzare senza il rispetto per la dignità di ogni essere umano. Pertanto: «chi gode di maggiore potere politico, tecnologico, economico, non può avvalersene per violare i diritti degli altri meno fortunati. È infatti sul rispetto dei diritti di tutti che si fonda la pace. Consapevole di ciò, la Chiesa si fa paladina dei diritti fondamentali di ogni persona – scrive il Pontefice per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2007 –. In particolare, essa rivendica il rispetto della vita e della libertà religiosa di ciascuno. Il rispetto del diritto alla vita in ogni sua fase stabilisce un punto fermo di decisiva importanza: la vita è un dono di cui il soggetto non ha la completa disponibilità. Ugualmente, l'affermazione del diritto alla libertà religiosa pone l'essere umano in rapporto con un Principio trascendente che lo sottrae all'arbitrio dell'uomo. Il diritto alla vita e alla libera espressione della propria fede in Dio non è in potere dell'uomo». Cardine del ragionamento del Papa è la non disponibilità della vita umana: o la vita umana è un bene non disponibile sempre, oppure la vita umana diventa un bene sempre a disposizione. Del più forte. Sono molte le minacce alla vita ricordate in questo messaggio del 2007, «accanto alle vittime dei conflitti armati, del terrorismo e di svariate forme di violenza, ci sono le morti silenziose provocate dalla fame, dall'aborto, dalla sperimentazione sugli embrioni e dall'eutanasia». Si tratta di veri e propri attentati alla pace, afferma senza usare giri di parole Benedetto XVI, che pone poi l’accento su due aspetti: «L'aborto e la sperimentazione sugli embrioni costituiscono la diretta negazione dell'atteggiamento di accoglienza verso l'altro che è indispensabile per instaurare durevoli rapporti di pace».
Risuona qui il pensiero di papa Giovanni Paolo II, che alla dignità della vita umana ha dedicato l’enciclica “Evangelium Vitae”, secondo il quale se viene a cadere il rispetto per la vita più fragile, quale è quella dei bambini non nati (usati per le sperimentazioni scientifiche) o degli anziani (eliminati perché improduttivi), si rompe qualsiasi altro diritto sociale. Nessun patto di solidarietà tra gli uomini è possibile se si accetta silenziosamente, o si promuove apertamente, la diffusione di pratiche quali l’eugenetica, le sperimentazioni su embrioni o linee cellulari da feti abortiti, l’aborto e l’eutanasia.
Con la propria analisi, papa Benedetto XVI contesta la possibilità di accettare pratiche, inaccettabili da un punto di vista etico, semplicemente perché ormai diffuse da tempo o addirittura consentite dalla legge. Per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2008 infatti scrive: «La norma giuridica che regola i rapporti delle persone tra loro, disciplinando i comportamenti esterni e prevedendo anche sanzioni per i trasgressori, ha come criterio la norma morale basata sulla natura delle cose. La ragione umana, peraltro, è capace di discernerla, almeno nelle sue esigenze fondamentali, risalendo così alla Ragione creatrice di Dio che sta all'origine di tutte le cose. Questa norma morale deve regolare le scelte delle coscienze e guidare tutti i comportamenti degli esseri umani».
Qui si attiva quel dialogo, che avviene prima di tutto con la propria coscienza, che porta l’uomo a vagliare la norma giuridica e a confrontarla con la norma morale. Che lo porta a ricercare nella norma giuridica quell’anelito trascendente che è garanzia di bene anche per il cittadino, che libera la norma da interessi di parte. Scrive il papa per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2011: «Una libertà nemica o indifferente verso Dio finisce col negare se stessa e non garantisce il pieno rispetto dell’altro. Una volontà che si crede radicalmente incapace di ricercare la verità e il bene non ha ragioni oggettive né motivi per agire, se non quelli imposti dai suoi interessi momentanei e contingenti, non ha una “identità” da custodire e costruire attraverso scelte veramente libere e consapevoli. Non può dunque reclamare il rispetto da parte di altre “volontà”, anch’esse sganciate dal proprio essere più profondo, che quindi possono far valere altre “ragioni” o addirittura nessuna “ragione”. L’illusione di trovare nel relativismo morale la chiave per una pacifica convivenza, è in realtà l’origine della divisione e della negazione della dignità degli esseri umani. Si comprende quindi la necessità di riconoscere una duplice dimensione nell’unità della persona umana: quella religiosa e quella sociale».
Ancora una volta il pontefice tedesco insiste: non si tratta di verità di fede, accessibili solo ai credenti e valide solo per loro, si tratta invece dei tasselli che compongono l’essenza di ogni uomo. Ogni uomo conserva in sé l’impronta della legge morale, scintilla che lo aiuta a decifrare il sentiero del Bene nella quotidiana lotta del Male. Ogni uomo è animato da un anelito d’infinito, che gli impedisce di trovare soddisfazione nel qui e ora (a riguardo, si consiglia la riflessione di padre Maurizio Botta). Così, oltre gli slogan rassicuranti rilanciati ogni giorno dal mondo dell’informazione e della comunicazione, per diventare operatori di pace è doveroso ripartire dai fondamentali, da quei principi non negoziabili senza i quali ogni altro diritto è comoda ipocrisia.
Nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2013, l’ultimo da pontefice regnante, Benedetto XVI scrive: «Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente». (Riproduzione riservata)
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