Carini vs. Khelif: lo scontro non s’ha da fare
IL COMMENTO Il portavoce del Cio, già al Wef, smentisce ogni ipotesi d’irregolarità, ma sono troppi i punti oscuri della vicenda. Anche J. K. Rowling prende posizione in difesa delle atlete
Angela Carini non deve salire sul ring contro Imane Khelif. Lo scontro si dovrebbe consumare oggi alle ore 12.20, con diretta su Rai 2, ma i troppi punti oscuri della vicenda imporrebbero lo stop. Nella giornata di ieri la quasi totalità delle testate giornalistiche italiane ha presentato Imane Khelif come pugile transessuale, in serata la nuova versione è stata: si tratta di una persona intersessuale. Scrive Adnkronos: «Khelif, sulla base delle informazioni disponibili, è una persona intersex. La definizione - come ricorda l'Istituto superiore di sanità - "include tutte le variazioni innate (ovvero presenti fin dalla nascita) nelle caratteristiche del sesso". Tali variazioni "possono riguardare i cromosomi sessuali, gli ormoni sessuali, i genitali esterni o le componenti interne dell'apparato riproduttivo". Khelif si è sempre socializzata come donna e tutta la sua carriera agonistica si è sviluppata nelle competizioni femminili». Eppure qualcosa non torna.
Non torna questa narrazione contraddittoria che ha interessato giornali di ogni colore ideologico. Non torna l’assenza di smentite ufficiali: definire l’atleta donna “transessuale” potrebbe comportare una querela per diffamazione a mezzo stampa, querela che potrebbe essere facilmente vinta. Perché l’atleta e lo staff non sono intervenuti immediatamente per smentire ogni voce?
Nel 2023 i test avrebbero evidenziato un livello eccessivo di testosterone e la presenza di cromosomi maschili nel Dna di Imane Khelif, e questo aveva comportato la sua esclusione dalla competizione organizzata dall'International Boxing Association. Imene Khelif è una donna e ha realmente problemi di salute che hanno reso il suo fisico tanto mascolino? Allora si fermi tutto e si studi la soluzione più adatta. Ma non si usi un caso particolare e rarissimo come cavallo di Troia per demolire le ultime mura a difesa delle donne.
A Parigi il Comitato olimpico internazionale (Cio) si è limitato ad affermare che tutte le atlete iscritte alle competizioni rispettano i requisiti, ma il comunicato non rispetta i requisiti di notiziabilità. È ingiusto, come già sta avvenendo in diverse parti del mondo, che un uomo sfidi una donna in una gara di nuoto, di ciclismo, di corsa. Ma se lo sport è la boxe, oltre a essere ingiusto l’incontro è anche pericoloso per l’incolumità dell’atleta, che si ritrova a sfidare un avversario con maggiore forza e resistenza fisica. È ingiusto, ancora, che un uomo possa avere accesso agli spogliatoi femminili. J. K. Rowling, autrice britannica e mamma della saga di Harry Potter, ha preso posizione affermando: «What will it take to end this insanity? A female boxer left with life-altering injuries? A female boxer killed?».
Il comunicato del Cio è debole, debolissimo anzi, anche per il contesto: queste sono le Olimpiadi della caricatura blasfema dell’Ultima Cena, di Maria Antonietta decapitata ridicolizzata, degli atleti accolti in alloggi senza aria condizionata e senza il cibo adatto, della Senna che improvvisamente diventa balneabile e porta un atleta canadese a vomitare in diretta al termine della gara. Il portavoce del Cio, Mark Adams, che per primo si è affrettato a smentire ogni accusa d’irregolarità, ha un curriculum di tutto rispetto: è stato responsabile della comunicazione del World Economic Forum di Ginevra e ha curato l’organizzazione e la comunicazione degli incontri annuali a Davos. Serve altro? Angela Carini e il Coni trovino il coraggio di dire no. (Riproduzione riservata)