"Cercavano la verità", per tutti
Il 3 maggio, Giornata mondiale della libertà di stampa, non è un giorno qualunque. Se il lettore e il giornalista sono dalla stessa parte della barricata, i poteri forti sono meno forti
Il 3 maggio non è un giorno qualunque. Quando, nel 1993, le Nazioni Unite istituirono la Giornata mondiale della libertà di stampa, fissarono sul calendario una bandiera, un simbolo discreto ma costante che ricordasse al mondo il ruolo fondamentale del giornalismo. Oggi però, 28 anni dopo, questa bandiera appare sfilacciata, con i colori spenti dal tempo e dall’incuria.
Mercoledì 28 aprile è stato presentato il rapporto sulla libertà di stampa in 47 Stati realizzato dal Consiglio d’Europa, ne scrive Avvenire il giorno stesso: «Nel 2020 il giornalismo libero e indipendente ha subito enormi danni». Durante la pandemia, infatti, sono state adottate «misure straordinarie per penalizzare le voci critiche e limitare il controllo dei media sulle azioni del governo».
Tra il giornalista e la verità, che egli ha il diritto e il dovere di cercare e diffondere, si accumulano nel tempo sempre più ostacoli. La crisi del settore è il primo masso che ostruisce il sentiero: dal 2008 il turnover nelle redazioni è bloccato, i giovani giornalisti così, invece di portare un rinnovamento (stilistico, tecnologico e di pensiero) all’interno dei giornali, sono relegati a collaborazioni esterne vicine allo sfruttamento.
Parte della crisi è indubbiamente da attribuire ai giganti del web, che hanno diffuso per anni l’illusione di un mondo virtuale dove tutto è gratuitamente a disposizione del navigante. Nessun prezzo da pagare, nessun impegno da prendere, nessuna responsabilità da riconoscere. Una giungla nella quale sono fioriti siti che vivono grazie al copia e incolla di contenuti creati (e pagati) da altri, dove il vero metro di giudizio è diventato il traffico. Più traffico c’è più la pubblicità paga. Ma il traffico richiede compromessi sulla qualità dei contenuti pubblicati in nome della quantità (e della forma) che non possono essere accettati dal giornalismo. Perché il giornalismo è un’altra cosa.
Vi sono poi le intimidazioni, a riguardo in Italia esiste un osservatorio che monitora ogni giorno i bavagli imposti ai giornalisti: Ossigeno per l’informazione. L’osservatorio giornalisti minacciati e notizie oscurate con la violenza, nato all’interno dell’Ordine dei giornalisti su idea del giornalista Alberto Spampinato, che ne è il direttore, verifica e diffonde i tentativi di censura che i giornalisti italiani ricevono mentre cercano di fare il loro lavoro.
I dati di Ossigeno danno un quadro aggiornato sulla situazione reale del giornalismo in Italia. Un quadro ben più rigoroso (e drammatico) di quanto riferito dalla piattaforma del Consiglio d’Europa.
Cercare la verità e diffonderla può comportare intimidazioni verbali e fisiche, può comportare querele pretestuose con richieste di risarcimento astronomiche, può comportare anni di processi e solitudine, di incertezza e paura. Cercare e diffondere la verità significa scrivere notizie estranee alla narrazione dominante, significa infastidire i poteri forti, significa, a volte, scuotere i lettori stessi, che possono non comprendere l’importanza di una notizia scomoda soprattutto se paragonata al flusso, generalmente rassicurante, che caratterizza l’informazione mainstream. Vi è infatti una tendenza alla semplificazione che riduce la possibilità di comprendere la notizia, che impone al resoconto di cronaca un’impronta ideologica, che lascia spazio a slogan tanto immediati quanto lontani dalla complessità del reale.
E allora il 3 maggio non passa come un giorno qualunque se diventa occasione per pretendere la verità. Ci sono giornalisti che hanno perso la vita perché cercavano la verità, ci sono giornalisti che subiscono intimidazioni e violenze perché cercano la verità, ma soprattutto ci sono lettori, cittadini, che perdono tasselli di libertà ogni volta che la penna di un giornalista viene spezzata.
Fra le patologie che il giornalismo soffre (in modo particolare quello italiano) vi è la perdita di fiducia da parte dei lettori, che ha contribuito ad accelerare il calo di vendite e a rallentare la sottoscrizione di nuovi abbonamenti. Il lettore però non è comparsa marginale della scena, anzi, può fare la propria parte per invertire la rotta tornando a scegliere, ad approfondire, a sostenere giornalisti che ogni giorno affrontano sfide (sempre più ardue) per cercare e diffondere la verità. La democrazia che perde il giornalismo è un regime, dove l’unica voce che risuona nelle piazze è quella del padrone. Per questo, il 3 maggio non è, e non può diventare, un giorno qualunque.
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