Chiesa e nuovo ordine mondiale
La denuncia dimenticata di Giovanni Paolo II: «Minacce programmate in maniera scientifica e sistematica contro la vita umana»
«Ad essere calpestata nel diritto fondamentale alla vita è oggi una grande moltitudine di esseri umani deboli e indifesi, come sono, in particolare, i bambini non ancora nati. Se alla Chiesa, sul finire del secolo scorso, non era consentito tacere davanti alle ingiustizie allora operanti, meno ancora essa può tacere oggi, quando alle ingiustizie sociali del passato, purtroppo non ancora superate, in tante parti del mondo si aggiungono ingiustizie ed oppressioni anche più gravi, magari scambiate per elementi di progresso in vista dell'organizzazione di un nuovo ordine mondiale».
È il 25 marzo del 1995, Giovanni Paolo II pubblica la lettera enciclica “Evangelium Vitae”. Con lucida profezia, il pontefice polacco affronta i «molteplici delitti e attentati contro la vita umana», partendo da un dato di pura cronaca: «Scelte un tempo unanimemente considerate come delittuose e rifiutate dal comune senso morale, diventano a poco a poco socialmente rispettabili. La stessa medicina, che per sua vocazione è ordinata alla difesa e alla cura della vita umana, in alcuni suoi settori si presta sempre più largamente a realizzare questi atti contro la persona e in tal modo deforma il suo volto, contraddice sé stessa e avvilisce la dignità di quanti la esercitano».
Rileggere l’enciclica oggi, ventisei anni dopo, significa trovarvi richiami inaspettati alle sfide etiche che caratterizzano il 2021. Fin dall’inizio del suo pontificato, è impellente la preoccupazione di Giovanni Paolo II per la difesa della dignità della vita umana: «Se è quanto mai grave e inquietante il fenomeno dell'eliminazione di tante vite umane nascenti o sulla via del tramonto, non meno grave e inquietante è il fatto che la stessa coscienza, quasi ottenebrata da così vasti condizionamenti, fatica sempre più a percepire la distinzione tra il bene e il male in ciò che tocca lo stesso fondamentale valore della vita umana».
Il pontefice, oggi santo, non esita a parlare di «nuovo ordine mondiale», e spiega chiaramente cosa intende: «Con il tempo, le minacce contro la vita non vengono meno. Esse, al contrario, assumono dimensioni enormi. Non si tratta soltanto di minacce provenienti dall'esterno, di forze della natura o dei "Caino" che assassinano gli "Abele"; no, si tratta di minacce programmate in maniera scientifica e sistematica».
Una vera e propria «congiura contro la vita», nella quale i mondi dell’informazione, della comunicazione e dell’intrattenimento spesso recitano una parte da protagonisti: «Non si può, infine, negare che i mass media sono spesso complici di questa congiura, accreditando nell'opinione pubblica quella cultura che presenta il ricorso alla contraccezione, alla sterilizzazione, all'aborto e alla stessa eutanasia come segno di progresso e conquista di libertà, mentre dipinge come nemiche della libertà e del progresso le posizioni incondizionatamente a favore della vita».
Il nuovo ordine mondiale denunciato dal papa è dunque il tentativo di influenzare le coscienze sui temi della vita, modificando la sensibilità generale su aborto, fecondazione assistita, eutanasia, eugenetica e sperimentazione. Una sperimentazione che, questo il desiderio delle grandi case farmaceutiche e cosmetiche, dovrebbe essere senza limiti, ammettendo l’utilizzo di tessuti e linee cellulari da feti abortiti.
Aborto: questo è il cuore dell’enciclica. Se non si parte dal rispetto della vita nascente, dice il papa, se non si tutela l’essere più indifeso che c’è al mondo, il bambino non ancora nato, non c’è speranza di progresso. Non c’è possibilità di avvenire né di pace. Tutti gli altri valori, seppur sbandierati con abile retorica, restano parole vuote se consentono e promuovono l’aborto: «Fra tutti i delitti che l'uomo può compiere contro la vita, l'aborto procurato presenta caratteristiche che lo rendono particolarmente grave e deprecabile». Eppure, continua papa Giovanni Paolo II, la coscienza è sempre più annebbiata grazie a una propaganda ininterrotta, che interviene anche sul linguaggio diffondendo «una terminologia ambigua» come “interruzione della gravidanza”.
Nonostante ciò, «nessuna parola vale a cambiare la realtà delle cose: l'aborto procurato è l'uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita». E non valgono le giustificazioni che tentano di fissare limiti temporali: fino alla settimana X il bambino non è nulla, poi, dallo scoccare della mezzanotte del giorno Y, il bambino diventa magicamente bambino.
Così si legge nella “Dichiarazione sull’aborto procurato” (18 novembre 1974):
«Dal momento in cui l'ovulo è fecondato, si inaugura una vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto. Non sarà mai reso umano se non lo è stato fin da allora. A questa evidenza di sempre, la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme. Essa ha mostrato come dal primo istante si trovi fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: una persona, questa persona individua con le sue note caratteristiche già ben determinate. Fin dalla fecondazione è iniziata l'avventura di una vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacità richiede tempo, per impostarsi e per trovarsi pronta ad agire».
Rigoroso e affascinante l’excursus storico che il pontefice polacco fa della posizione cristiana nei confronti dell’aborto: dai primi contatti con il mondo greco-romano, agli scritti di Atenagora e Tertulliano, all’enciclica “Casti connubii” di Pio XI. La dottrina della Chiesa sul tema è «immutata e immutabile», pertanto «nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla Legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa».
La condanna dell’aborto comporta necessariamente la condanna di qualsiasi forma di sperimentazione condotta sugli embrioni, ancora una volta i soggetti più fragili. Ed è qui che l’enciclica di papa Wojtyla, pubblicata nel 1995, sembra scritta ieri:
«La valutazione morale dell'aborto è da applicare anche alle recenti forme di intervento sugli embrioni umani che, pur mirando a scopi in sé legittimi, ne comportano inevitabilmente l'uccisione. È il caso della sperimentazione sugli embrioni, in crescente espansione nel campo della ricerca biomedica e legalmente ammessa in alcuni Stati. Se “si devono ritenere leciti gli interventi sull'embrione umano a patto che rispettino la vita e l'integrità dell'embrione, non comportino per lui rischi sproporzionati, ma siano finalizzati alla sua guarigione, al miglioramento delle sue condizioni di salute o alla sua sopravvivenza individuale”, si deve invece affermare che l'uso degli embrioni o dei feti umani come oggetto di sperimentazione costituisce un delitto nei riguardi della loro dignità di esseri umani, che hanno diritto al medesimo rispetto dovuto al bambino già nato e ad ogni persona».
Mentre scrive queste pagine, tra la fine del 1994 e l’inizio del 1995, il papa ha ben presenti le pressioni che le case farmaceutiche fanno da anni, soprattutto negli Stati Uniti, per ottenere carta bianca nei processi di sperimentazione:
«La stessa condanna morale riguarda anche il procedimento che sfrutta gli embrioni e i feti umani ancora vivi — talvolta “prodotti” appositamente per questo scopo mediante la fecondazione in vitro — sia come “materiale biologico” da utilizzare sia come fornitori di organi o di tessuti da trapiantare per la cura di alcune malattie. In realtà, l'uccisione di creature umane innocenti, seppure a vantaggio di altre, costituisce un atto assolutamente inaccettabile».
Giovanni Paolo II ribadisce così la posizione, controcorrente, della Chiesa: il “no” a una scienza piegata al profitto, a una scienza senza etica, è il “sì” alla tutela dell’uomo. Alla presa in carico del paziente, che rimane una persona e non è mai riducibile alla sua patologia. Che è una persona da curare, sempre, con sensibile umanità, anche quando è impossibile guarire il male che l’ha colpita.
Quale bene comune? Se la vita di un bambino non nato viene soppressa, se il suo corpo viene sezionato per ottenerne organi, se le sue cellule vengono clonate per renderle immortali, quale bene comune? Come può la medicina prendersi cura di un bambino con grave disabilità senza cedere all’eugenetica, come può la medicina prendersi cura di un anziano fragile senza cedere all’eutanasia, se come primo gesto accetta e promuove le sperimentazioni su feti abortiti?
Non usa mezzi termini, papa Giovanni Paolo II, non usa sofismi né retorica: ogni uomo o donna di buona volontà coopera al bene o al male con le proprie azioni quotidiane. Non vale appellarsi a concetti quali la cooperazione remota, che apre sì a interessanti discussioni da lezione di filosofia morale ma spegne la coscienza sul problema di fondo: l’uccisione di un bambino non nato e l’utilizzo del suo corpo per interessi economici. Spesso spacciati per bene comune.
Ventisei anni dopo la sua pubblicazione, “Evangelium Vitae” rimane come uno strumento imprescindibile per la comprensione delle dinamiche etiche attuali, dinamiche sempre più escluse dal dibattito pubblico. Perché non c’è consenso libero e informato senza informazione.
«Grande e grave è la responsabilità degli operatori dei mass media, chiamati ad adoperarsi perché i messaggi trasmessi con tanta efficacia contribuiscano alla cultura della vita. Devono allora presentare esempi alti e nobili di vita e dare spazio alle testimonianze positive e talvolta eroiche di amore all'uomo; proporre con grande rispetto i valori della sessualità e dell'amore, senza indugiare su ciò che deturpa e svilisce la dignità dell'uomo. Nella lettura della realtà, devono rifiutare di mettere in risalto quanto può insinuare o far crescere sentimenti o atteggiamenti di indifferenza, di disprezzo o di rifiuto nei confronti della vita. Nella scrupolosa fedeltà alla verità dei fatti, sono chiamati a coniugare insieme la libertà di informazione, il rispetto di ogni persona e un profondo senso di umanità». (Riproduzione riservata)
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