È la stampa, bellezza
Perdita di credibilità del giornalismo mainstream? Serve il coraggio di rinnovare la professione. Quando giornalista e lettore sono legati da un patto di fiducia, la democrazia è al sicuro
«Che cos’è la verità? La definizione che giornalisticamente più ci interessa è quella data dai greci: “aletheia”. In questa parola ci sono due negazioni: la verità è ciò che non è non visibile. Non si poteva dire prima che la verità è ciò che è visibile? No, perché questo è il problema della verità: non sempre si vede. La verità ha bisogno di essere scoperta, di essere disvelata, e questo è il compito dei giornalisti. Noi abbiamo qualcosa che si presenta alla nostra esperienza professionale e dobbiamo cercare di capire: è la verità vera, oppure dobbiamo andare a scavare?».
Difficile ricordare un altro momento storico nel quale il clima fra professionisti dell’informazione e cittadini sia stato così teso. Sempre più persone accusano le grandi testate di aver rinunciato al proprio ruolo di cani da guardia della democrazia, accettando senza resistenze di diventare portavoce dei portavoce delle istituzioni e dei poteri forti. Di contro, molti professionisti dell’informazione accusano i lettori di essere ignoranti o complottisti o peggio, e arrivano addirittura a emarginare i colleghi che espongono pubblicamente dubbi sulla narrazione dominante. Se il dibattito si fa incandescente però, continua a essere ignorata la questione di fondo: cos’è il giornalismo?
Perché l’idea che passa attraverso i media è che fare il giornalista significhi fare il conduttore televisivo o l’opinionista. Fare un’ospitata in un talk show e ripetere qualche slogan politicamente corretto, oppure alzarsi in piedi durante conferenze stampa telecomandate per fare i complimenti al premier di turno, oppure ancora twittare furiosamente contro chi non si adegua al pensiero unico. Il giornalismo, purtroppo e per fortuna, è tutt’altro. È doveroso quindi ricordarlo, ai cittadini in primis e anche ai professionisti dell’informazione.
Michele Partipilo, giornalista professionista iscritto all’Ordine dal 1984, già presidente dell’Ordine dei giornalisti di Puglia, nel 2018 ha tenuto una lezione ai giornalisti praticanti che si preparavano all’esame di stato che andrebbe trasmessa in prima serata su Rai 1 una volta all’anno.
Perché la verità è difficile da dire? «Primo, perché è difficile da andare a ricercare, perché costa fatica. È molto più facile fare il copia e incolla. Uno mi dice una cosa, copia e incolla. I carabinieri mandano la velina in redazione, copia e incolla. Sul sito c’è scritta una certa cosa, copia e incolla – risponde Partipilo –. Non è questo il nostro lavoro. Altrimenti, guardate, non c’è bisogno dei giornalisti, basta un buon software e andiamo tutti a casa. Secondo, la verità, come dice il filosofo contemporaneo Michel Foucault, richiede il coraggio di chi la annuncia. Per fare i giornalisti bisogna avere anche il coraggio, il coraggio di dire la verità».
Con i tempi velocissimi della rete, dove una notizia viene lanciata e poi ripresa (spesso con il sempreverde copia e incolla) da decine di siti nel giro di pochi istanti, cambia anche il concetto di scoop: «Non vale la pena affannarsi per quello – spiega ancora Partipilo –, è meglio approfondire le notizie. Il concetto di tempestività però, ben diverso dall’ansia dello scoop, impone di diffondere la notizia appena è stata verificata. Non possiamo utilizzarla a orologeria, non possiamo mettercela nel cassetto in attesa che faccia rumore: questo è un modo di alterare la verità dei fatti».
Fatti e opinioni? «La libertà d’informazione è una cosa distinta dalla libertà di critica. Io devo sempre mettere il mio interlocutore nelle condizioni di capire se gli sto dando un’informazione o una critica, cioè una valutazione dei fatti. Una delle sciagure del giornalismo italiano è quella di mischiare continuamente la critica (cioè la valutazione) con la notizia (cioè l’informazione).
Queste due libertà, la cronaca (libertà numero 1) e la critica (libertà numero 2), sono legate ai diritti della persona e all’obbligo inderogabile e al rispetto della verità sostanziale dei fatti. Rispettare la verità significa non alterarla, non piegarla alle nostre volontà. E il giornalista deve rispettare sempre i principi imposti dalla lealtà e dalla buona fede».
Come scrisse Montanelli, tutti i giornalisti possono sbagliare, ma l’importante è sbagliare in buona fede. E, nel caso, rettificare. A proposito di rettifica: «Chiedete a un giornalista 100mila euro, se li ha ve li dà. Ma non chiedetegli una rettifica – dice Partipilo, scherzando ma non troppo –. Se proprio è costretto da un giudice, allora dove sarà pubblicata la rettifica? Nei quotidiani a pagina 74, tra le lettere dei lettori, in televisione in coda al tg, quando uno ormai ha spento, nelle trasmissioni televisive quando scorrono i sottopancia dopo i nomi del costumista e del carpentiere. Il New York Times le pubblica in seconda pagina. Quando avremo il coraggio di pubblicare una rettifica in seconda pagina? Voi capite quale forza assume un giornalista che ha il coraggio di ammettere pubblicamente “Ho sbagliato”? Se abbiamo sempre ragione noi, anche quando sbagliamo, dove sta la lealtà nei confronti del lettore?».
C’è un bagaglio prezioso fatto di deontologia, storia e tradizione, c’è un passato che deve essere riscoperto e rinnovato. L’informazione è un bene fondamentale, come quello alla salute e alla sicurezza, è una professione che ha rilievo costituzionale: per questo esiste l’Ordine dei Giornalisti, perché deve tutelare un interesse pubblico. Senza questa consapevolezza ogni sforzo è vano. Senza questa consapevolezza le fatiche dei giovani giornalisti indipendenti che resistono a gavette massacranti, e poi cercano di sopravvivere senza il supporto di un editore, sarebbero puro masochismo.
Oggi più che mai è necessario tutelare l’informazione, perché di fronte a gravi crisi la libertà è la prima minacciata, e non può esserci libertà se il cittadino non ha accesso a tutte le notizie. Anche quelle scomode, anche quelle difficili, anche quelle che mettono in dubbio gli interessi dei potenti. Salvare il giornalismo significa salvare la libertà. (Riproduzione riservata)
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