Francesco Guccini, stavolta anche no
IL COMMENTO Il cantautore pubblica un video nel quale canta “Bella ciao”, inserendo nel testo Berlusconi, Salvini e Meloni. C'è nostalgia di artisti che producano semplicemente arte
Quando, nel 2010, Milva scoprì di avere una malattia degenerativa, scelse di fare la cosa più dolorosa per un’interprete con la sua storia: ritirarsi dalle scene. Oggi, guardando il video di Francesco Guccini che canta “Bella ciao” con il testo modificato per attaccare Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, quel sofferto ritiro dalle scene torna alla mente con prepotenza.
Ma torniamo per un attimo al 2010. Quando capì che il ritiro era ormai l’unica decisione possibile, Milva preparò una lunga lettera di addio per i fan, quelli che lei aveva sempre preferito chiamare amici, e la pubblicò sul proprio sito ufficiale. Presentò “Non conosco nessun Patrizio”, il terzo disco scritto per lei da Franco Battiato e l’ultimo della carriera, poi si nascose allo sguardo del pubblico. La Rossa sospese questa decisione solo in due occasioni: tornò sul palcoscenico del Piccolo Teatro Strehler a Milano (2011) e dell’Arena del Sole a Bologna (2012), vincendo la malattia per dovere civico. Così disse, nelle interviste rilasciate pochi giorni prima degli ultimi appuntamenti dal vivo: «Continuo a cantare canzoni di impegno civile, per riflettere su un passato mai sepolto, in un presente che peggiora di giorno in giorno».
Chi scrive era presente, sia a Milano che a Bologna: tra le due esibizioni il peggioramento fisico fu subito evidente, eppure si percepiva un senso del dovere (nei confronti del proprio lavoro e della storia da interpretare) così forte che alla fine l’incanto della rappresentazione si compì ancora una volta, un’ultima volta. A Bologna la fatica della Rossa era dolorosa anche per chi guardava, tanto che la platea (violando ogni regola del teatro) interruppe lo spettacolo più e più volte con applausi scroscianti che sembravano dire: «Siamo qui, ci siamo, coraggio».
A pesare sulla decisione della Pantera di Goro anche gli attentati del 22 luglio 2011 in Norvegia, a causa dei quali persero la vita settantasette persone: come già raccontato in più interviste, l’orrore di un mondo ferito dalla guerra e dal terrorismo imponeva agli artisti di denunciare l’orrore. A Milano e a Bologna, una buona parte del pubblico si aspettava un discorso, un commento sull’attualità al termine dello spettacolo. Invece nulla. Milva interpretò “La variante di Luneburg”, struggente fabula in musica sull’Olocausto, mise in quella interpretazione ogni energia, e non aggiunse lezioni retoriche che il pubblico adorante avrebbe accolto con fiducia e indulgenza speciali. Non approfittò della sua posizione, insomma. L’orrore di un Male che ha insanguinato il mondo era già nell’arte offerta, ogni parola in più sarebbe stata fuori luogo. Ogni contestualizzazione avrebbe limitato il potere catartico dello spettacolo. Ciò non significa che Milva non abbia mai espresso le proprie opinioni sulla politica e sulla società, ma ha sempre cercato di farlo come libera espressione di pensiero, non come propaganda per convincere i propri ammiratori. Vedere oggi un Francesco Guccini stanco, che intona con un filo di voce “Bella ciao” per farne un manifesto elettorale contro il centrodestra, mortifica una carriera degna di nota.
Nell’ultima intervista concessa a Rai 1, a “L’Arena” di Massimo Giletti, una Milva invitata con insistenza a non ritirarsi dalle scene a un certo punto sbottò e disse: «Non voglio farmi compatire». L’ultima diva dal fascino mitteleuropeo, che aveva calcato i palcoscenici più importanti del mondo, che era stata musa dei più importanti compositori, faceva i conti con il tempo e la malattia. E diceva “no” alla presenza senza l’essenza. Francesco Guccini ha valutato il peso di questa presa di posizione pubblica sulla propria immagine?
Chi ha qualche anno in più del sottoscritto racconta che in oratorio si cantava “Dio è morto” con grande entusiasmo, una canzone censurata dalla Rai ma trasmessa regolarmente da Radio Vaticana. Si cantava “Auschwitz” con le lacrime agli occhi, e quando partivano quelle prime note non importava più il tuo partito preferito o il quotidiano al quale non rinunciavi mai. Si era tutti uniti, tutti semplicemente umani di fronte a un Male sconfitto, ma forse non per sempre. “Dio è morto” la può cantare anche chi non crede, “Auschwitz” parla a ogni uomo o donna di buona volontà. “La variante di Luneburg”, come dimostrava la platea variegata, evoca l’Olocausto e va oltre, mostra allo spettatore i semi dell’odio e ricorda che possono sempre tornare a germogliare, come piante infestanti che cambiano colore e forma per nascondersi con cura in mezzo ai fiori.
Francesco Guccini ha ferito anche “Bella ciao”, perché paragonare chi si oppose al fascismo, e per questo perse lavoro e libertà, a chi si oppone a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, e per questo spesso firma editoriali sui quotidiani più importanti, è irrispettoso, cinico e menzognero. Il potere catartico dell’arte si attiva quando l’arte è pura: chi userebbe mai acqua sporca per lavare un pavimento macchiato? “La variante di Luneburg” innalza l’anima se viene liberata dagli interessi politici contingenti, per questo non ci furono prese di posizione esplicite durante le rappresentazioni. Per questo oggi si prova grande nostalgia di artisti capaci di produrre semplicemente arte. Di artisti che si facciano intermediari tra il pubblico e l’arte. Di artisti che lascino parlare la bellezza e non gridino alla pancia di un pubblico ammaestrato, che infatti non fa paura (semicit.). L’artista libero aiuta i propri ammiratori a conoscere e amare la libertà. (Riproduzione riservata)
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