Green pass e giornalisti sotto attacco
Ancora intimidazioni ai giornalisti che seguono le manifestazioni contro l’introduzione del lasciapassare verde. Perché avvengono? Chi sta facendo qualcosa, concretamente, per impedirle? L’analisi
Un fotoreporter di Repubblica aggredito con una pala a Roma, una troupe Rai insultata al porto di Trieste, la sede regionale Rai del Friuli Venezia Giulia circondata al grido di “giornalista terrorista”. Oltre la doverosa denuncia degli atti intimidatori, perché questa assenza di dibattito e proposte concrete? Il filo rosso che lega i cori contro i giornalisti e le redazioni è negli attori: gente comune, famiglie, studenti, anziani, medici, insegnanti, insomma la stragrande maggioranza dei componenti dei cortei contro il green pass.
La violenza, anche solo verbale, va condannata. Ma quando proviene da semplici cittadini, da migliaia di semplici cittadini, molti dei quali forse ex lettori della testata che ora insultano, deve far riflettere: quale informazione sanitaria è stata prodotta negli ultimi due anni?
La sede Rai di Trieste è stata circondata da migliaia di cittadini, non da un manipolo di delinquenti armati. La troupe Rai al porto è stata insultata da centinaia di portuali e cittadini, non da pericolosi estremisti. Il giornalista è pronto (e troppo spesso abbandonato) alle intimidazioni della criminalità più o meno organizzata, alle querele pretestuose dei potenti, agli insulti della politica, a tutta una serie di ostacoli all’informazione messi in atto da poteri più o meno forti, infastiditi dalla ricerca della verità del cronista. Ma non è pronto, e non può abituarsi, alle intimidazioni dei cittadini, cioè dei soggetti deboli nei confronti dei quali svolge la propria professione di “cane da guardia della democrazia”.
Non è un’espressione retorica: cercare quotidianamente la verità e raccontarla con deontologia e coraggio, dalla buca sulla strada non riparata nel paesino di provincia all’appalto milionario per lavori pubblici nella capitale, è l’antidoto migliore a qualsiasi dittatura. Non solo perché consente ai lettori di conoscere, dunque di agire consapevolmente, ma anche perché diffonde l’abitudine allo spirito critico, alla verifica delle informazioni che si ricevono, al confronto delle fonti. La ricerca della verità non può essere prerogativa dei giornalisti: lettori attenti contribuiscono a loro volta al potenziamento del giornalismo, perché saranno i primi a pretendere inchieste e a sostenerle, moralmente ed economicamente.
Il giornalista può essere guardato male quando entra nei palazzi del potere a caccia di informazioni o quando al termine della conferenza stampa di una multinazionale alza la mano e inizia a fare domande, non quando cammina in mezzo a cittadini che protestano perché vedono compressi i loro diritti fondamentali. Dopo la denuncia delle intimidazioni, dunque, è necessaria una profonda riflessione interna alla categoria, affinché la deontologia torni a essere il faro che guida la linea editoriale.
Secondo aspetto: chi deve fare qualcosa, in concreto, per tutelare l’incolumità dei giornalisti e, dunque, la libertà di stampa? Appare evidente una cosa: lanciare l’allarme non basta. Chiedere l’intervento di istituzioni e forze dell’ordine non basta. Ossigeno per l’informazione, osservatorio nazionale giornalisti minacciati e notizie oscurate con la violenza, ha lanciato un protocollo: «Tutti sappiamo quale sarebbe l’adeguata protezione da adottare. In qualche caso può essere quella fornita da una scorta delle forze dell’ordine. In tutti gli altri casi può essere soltanto una scorta privata, quella di un numero adeguato di guardie giurate. E in ogni caso – spiega Alberto Spampinato, direttore di Ossigeno –, a ogni giornalista (dipendente o freelance) inviato all’esterno della redazione in situazioni che comportano il rischio (più o meno alto) di essere aggredito, l’editore dovrebbe pagare una specifica e adeguata copertura assicurativa».
Occorre un’attenzione particolare soprattutto per i giornalisti freelance, che si muovono senza fotografi, cameraman né auto aziendali; se ingaggiati dalle grandi testate, ricevono compensi a due cifre per giornate intere di lavoro in strada, nei contesti più disparati e delicati. Riflessione interna, riscoperta della deontologia, coraggio degli editori nel tutelare chi cerca la verità. Non c’è più tempo da perdere. (Riproduzione riservata)
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