Guerra: giornalismo e deontologia professionale
Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti lancia un monito: «Raccontare i fatti delle guerre in atto senza censure, ma con umanità e professionalità, evitando di cadere nello show dell’orrore
Il giornalista «rispetta i diritti fondamentali delle persone e osserva le norme di legge poste a loro salvaguardia». Lo deve fare sempre, anche (forse soprattutto) nei momenti di emergenza. È quando tutte le certezze vacillano che il giornalista deve aggrapparsi ancora più saldamente alla deontologia professionale e resistere alle sferzate del vento, siano esse fatte di paura o di interessi economici e di potere. In guerra la conoscenza e il rispetto della deontologia fanno la differenza fra verità e menzogna. Fra notizie e propaganda. Durante un conflitto infatti le parti coinvolte (direttamente e indirettamente, esplicitamente e implicitamente) possono sfruttare il mondo dell’informazione per cercare di manipolare l’opinione pubblica.
In tempo di emergenza, un’opinione pubblica terrorizzata o sconvolta potrebbe infatti accettare decisioni governative inaccettabili in momenti di pace. Potrebbe avallare scelte che il potere fa per interessi che nulla hanno a che fare con il bene comune o con la tutela dei soggetti fragili, basti pensare ai civili travolti da bombardamenti quotidiani.
Il 16 ottobre 2023 l’Esecutivo del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha lanciato un monito: «L’esecutivo del CNOG ribadisce ancora una volta la necessità e l’importanza di raccontare i fatti delle guerre in atto senza censure, ma con umanità e professionalità, evitando di cadere nello show dell’orrore. Non occorrono aggettivi ad effetto o immagini che spettacolarizzano il dolore». Con un richiamo diretto alla deontologia: «Le norme deontologiche dei giornalisti indicano regole precise: verifica delle fonti, verità sostanziale dei fatti, nei limiti del possibile e delle fonti, e continenza nel linguaggio e nell’uso delle immagini».
Sui social circolano centinaia di video con immagini violente, nel 90% dei casi si tratta di video messi online da profili anonimi, con situazioni impossibili da contestualizzare. Video che colpiscono al cuore lo spettatore per la crudezza delle scene, ma che non sono verificabili, dunque non informano e possono essere utilizzati per manipolare l’opinione pubblica. Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti aggiunge: «Si ricorda, soprattutto alle testate televisive, di assicurare un uso rispettoso e responsabile delle immagini video e delle riprese, per un racconto rigoroso e attento dei conflitti». (Riproduzione riservata)
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