I giornalisti e la pandemia
Attacchi social dei professionisti dell’informazione contro chi dice “no” ai vaccini anti covid. Le vere vittime di questa campagna d'odio? Cronaca e fiducia dei lettori
«Ma il fatto che i giornalisti stiano dicendo tutti la stessa cosa nello stesso modo è normale?». Se lo chiede un utente, commentando il tweet di Corrado Formigli che racconta il senso di libertà provato nel prendere un Martini seduto al bar dopo aver esibito il proprio green pass.
Sì, la domanda ha fondamento: il tweet di Formigli conserva l’eco di decine di tweet firmati da professionisti dell’informazione che da mesi, con quotidiana costanza, definiscono “novax”, “ignorante”, “egoista” e “fascista” chiunque osi mettere in dubbio la narrazione della campagna vaccinale di massa.
«Sono preoccupato: quando finirà la pandemia e con essa i no-vax, come riconoscerò fascisti e imbecilli?», si chiede il 10 agosto 2021 Paolo Ojetti. «Ve lo dico, se io, vaccinato con doppia dose, vengo contagiato da un no vax, lo denuncio», annuncia il 9 agosto 2021 Antonino Caffo. «Sul principio sono perfettamente d’accordo, Cesare. Ma quanto può durare il dialogo in quella che era e rimane comunque una corsa contro il tempo? E soprattutto, mi chiedo, col 99% della comunità scientifica unanime, su che cos’altro può basarsi un cortese convincimento? Saluti», aggiunge il 10 agosto 2021 Tommaso Labate.
«tweet di gente che parla di umiliazione con il green pass. ma solo io sono tutta orgogliosa quando me lo chiedono? mesi di lockdown, lutti in famiglia, paura che il vaccino non tocchi mai a me, prima dose i dolori, seconda dose i draghi volanti, me lo sono meritato alla grande», esulta Marta Cagnola l’11 agosto 2021. «Tutti a frignare durante il lockdown. Poi scopro che oltre 2 milioni di 50-60enni non fanno il vaccino."Attendo" mi ha detto una. Cosa? Che vadano avanti gli altri. Così tocca ai giovani far raggiungere l'immunità di gregge. Mio figlio, 15 anni, ha più senso civico di voi. #Covid», attacca il 9 agosto 2021 Silvia Mobili.
«Il sindacato dovrebbe essere il primo a chiedere il licenziamento di chi non vaccinandosi mette a rischio la salute degli altri lavoratori», spiega il 9 agosto 2021 Mario Lavia. «Il #greenpass obbligatorio per andare a ristorante o stadio, è una misura che condivido, ma potrebbe non bastare. A settembre la estenderei anche ad altre attività. Si dovrebbe poter accedere senza certificazione vaccinale soltanto negli alimentari e nelle farmacie», rilancia il 12 agosto 2021 Giovanni Toti, presidente della regione Liguria e giornalista professionista dal 2006.
Fino ad arrivare all’inarrivabile Alfredo Faieta, firma di Domani, che su Facebook ha scritto: «Un giorno i vaccinati faranno pulizia etnica dei non vaccinati, come nel Rwanda dei Tutsi».
A fronte di questa sintetica rassegna, l’utente che ha posto la domanda su Twitter ha tutto il diritto di pretendere una risposta. Ha diritto anche perché negli ultimi due anni si è assistito a una torbida relazione fra cronaca e critica, relazione divenuta palese il 27 dicembre 2020 con le cronache del Vax Day.
Non si tratta solo di opinioni personali (più che lecite in chi racconta la realtà ogni giorno per lavoro), bensì di piccoli tasselli di un puzzle che va a comporre la narrazione dominante della pandemia, narrazione che comprende anche la cronaca. Ed è questo il fatto più grave.
Michele Partipilo, già presidente dell’Ordine dei giornalisti di Puglia, nonché faro di speranza per tutti i giornalisti praticanti nei lunghi mesi di preparazione all’esame di stato, ricorda:
«La deontologia è la linea che separa il giornalismo dalla libera manifestazione del pensiero. Chiunque potrà raccontare un evento cui ha assistito, ma solo un giornalista dovrà rispettare delle regole per farlo. Sono quelle norme che l’Ordine stesso si è dato, a partire dagli anni Ottanta del Novecento, affinché i principi etici racchiusi nell’articolo 2 della legge professionale avessero concretezza e garanzia di applicabilità. Dal 3 febbraio 2016 quelle regole sono raccolte nel Testo unico della deontologia. Non è difficile applicarlo, basta soltanto svolgere bene la professione, con onestà e competenza».
Non esiste giornalismo senza deontologia, non esiste professionalità senza conoscenza e rispetto delle regole proprie della professione. E il giornalismo è un vestito che non ci si toglie quando si esce dalla redazione e si entra virtualmente su un social, o quando si entra fisicamente in un bar o un museo o un teatro. Si è giornalisti anche quando si twitta, sia che i propri follower siano due milioni sia che siano due. Il giornalista, come ricorda il Testo unico dei doveri del giornalista, applica: «i principi deontologici nell’uso di tutti gli strumenti di comunicazione, compresi i social network».
Riguardo la pandemia, le restrizioni e la campagna vaccinale di massa, sarebbero da rileggere integralmente la Carta di Perugia e la Carta di Treviso, ma anche il Testo unico ricorda che:
«Il giornalista evita nella pubblicazione di notizie su argomenti scientifici un sensazionalismo che potrebbe far sorgere timori o speranze infondate avendo cura di segnalare i tempi necessari per ulteriori ricerche e sperimentazioni; dà conto, inoltre, se non v’è certezza relativamente ad un argomento, delle diverse posizioni in campo e delle diverse analisi nel rispetto del principio di completezza della notizia».
Ci sono pressioni in questo momento storico? Sì. Pressioni governative? Sì. Pressioni sociali? sì. Pressioni interne alle redazioni? Sì. Ma il giornalista «non accetta condizionamenti per la pubblicazione o la soppressione di una informazione» e «non omette fatti, dichiarazioni o dettagli essenziali alla completa ricostruzione di un avvenimento». Di fronte alla fine di un’epoca, mentre sembrano tramontare persino le redazioni per come abbiamo imparato a conoscerle e amarle, non esiste altra via di rinascita se non la professionalità.
I politici comunicano sui social, gli influencer muovono l’opinione pubblica, le aziende raggiungono ormai direttamente i propri clienti (e pazienti) grazie alla rete e alla pubblicità sui media tradizionali: il giornalista ha il diritto/dovere di porsi nella tempesta comunicativa come argine a difesa del lettore, del cittadino.
Il giornalista riceve il comunicato stampa di Pfizer? Lo legge, lo sottolinea, ringrazia l’azienda e risponde con una cartella di domande. E finché non riceve risposta a quelle domande non pubblica il comunicato stampa dell’azienda sul proprio giornale o sito o newsletter. L’azienda ha già numerosi canali gratuiti attraverso i quali raggiungere direttamente i cittadini: il giornalismo è un’altra cosa.
Il giornalista ritiene che il green pass sia uno strumento di libertà? Lo scriva in un articolo di fondo, in un editoriale, supportando la propria posizione con i fatti, ma non modifichi la cronaca per far credere che la realtà sia quella che lui desidera. Se il diritto di critica sovrasta il dovere di cronaca il lettore non ha più gli strumenti per farsi un’opinione.
«L’obiettività – spiega Michele Partipilo – è sforzarsi di raccontare nella maniera sempre più vicina, più attenta, più scrupolosa la verità. Ed è questo che ci dà credibilità. E questo è possibile, anche se ha un problema: costa fatica. E, in qualche caso, ci vuole pure coraggio». (Riproduzione riservata)
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