I grandi sacerdoti chiedono sacrifici
EDITORIALE Annunciata la possibile riduzione dell’elettricità nelle ore di punta, ma guai a chiamarla “scelta politica”. Le divinità capricciose non esistono più: è tutto umano, troppo umano
Dobbiamo fare sacrifici. Con Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, che oggi per la prima volta parla esplicitamente di «un obiettivo obbligatorio per la riduzione del consumo di elettricità nelle ore di punta», riparte sui media e sui social il mantra: dobbiamo fare sacrifici. Sacrifici in nome di un triplice bene superiore, ovvero la salvaguardia dei civili ucraini, la punizione del dittatore Putin e la tutela dell’ambiente.
Secondo il vocabolario della lingua italiana Zingarelli (edizione 1970, decima ristampa, pag. 1530), il “sacrificio” è: «Atto religioso mediante il quale si sottrae una cosa materiale, un animale o un uomo all’uso profano e lo si rende sacro dedicandolo a un dio, a più dei o a una forza divina non personificata, al fine di incrementare la potenza divina, di pacificarne la collera, di propiziarsela o semplicemente di glorificarla o ringraziarla». Il linguaggio utilizzato dalla narrazione dominante (che parte dall’alto ma poi trova eco in intellettuali, giornalisti, megafoni senza altra professione specificabile, troll) pesca da un grande calderone che racchiude religioni, miti e leggende. Lo fa in modo indiretto, implicito, ma l’effetto è assicurato.
Restare senza corrente non è una scelta politica, magari dettata da errori passati o da malafede presente, è un sacrificio. È insomma un gesto che trascende le dinamiche quotidiane, che coinvolge i sensi e l’anima, che si rivolge a entità superiori per ottenere un obiettivo non raggiungibile con le semplici forze umane. Di fronte a cotanto afflato, quale misera persona oserebbe alzare un ditino per porre domande? Quale sciocco intellettuale di provincia potrebbe mai parlare all’opinione pubblica stimolando riflessioni e dubbi? Quale incosciente giornalista indipendente si azzarderebbe mai a chiedere conto delle ragioni reali e del fine che si vuole conquistare con queste drastiche misure? L’improvvido intellettuale sarebbe subito cacciato dall’Accademia, l’ingenuo giornalista sarebbe immediatamente zittito dai suoi stessi colleghi.
Eppure le menti non completamente obnubilate dalla propaganda continuano a macinare interrogativi. Perché la parola “sacrifici” è già stata utilizzata durante la gestione della pandemia: prima come motore a tutela dei più fragili, poi come giustificazione per decisioni illegittime, antiscientifiche, discriminatorie. Decisioni non contestabili, perché inserite nel quadro del sacrificio, dello sforzo non comprensibile all’uomo ma capace di garantire la benevolenza di una divinità.
Al danno, si aggiunge la beffa: oggi il sacrificio non è più un gesto assurdo fatto per calmare l’ira di divinità capricciose, e non è nemmeno l’offerta del capretto narrata nell’Antico Testamento (e superata nel Nuovo), perché la narrazione dominante contemporanea non ammette alcuna realtà estranea a un materialismo cinico e grigio. La divinità superiore non c’è più, ci sono solo grandi sacerdoti assetati di potere e pronti ad arraffare le carni e i frutti offerti in sacrificio. Quando non il sangue. Il sacrifico non è contestabile, ma non è neanche misurabile: come si può valutarne l’effetto concreto? Dipende dalla magnanimità della divinità. Il sacrificio è imposto, perché chi non si presta espone il resto della comunità alla collera degli dei (che poi è la collera dei grandi sacerdoti). Il sacrificio così narrato è un ritorno alla barbarie. È la negazione del sacro, dunque dell’umano.
Si può provare sincero dispiacere per civili lontani immersi nella sofferenza quando si prova godimento per le sofferenze dei propri concittadini, puniti per aver difeso la propria (e altrui) libertà di coscienza? Cosa resiste di vero, se le fondamenta della narrazione sono menzogne? Resiste l’ingordigia del potere, che arruola falsi sacerdoti e astuti profeti per ammaestrare con voci melliflue le masse. Dai sacrifici umani a oggi, il filo rosso della sete di potere si è fatto camaleontico e ha imparato a nascondersi dietro a maschere colorate di solidarietà, altruismo, “best interest”. È la maschera di sempre, una maschera crepata ma resa ancora accettabile grazie a quintali di cerone. La maschera nasconde un ghigno che odora di zolfo, ma le mascherine hanno fatto addormentare anche l’olfatto. (Riproduzione riservata)
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Dio , il Nostro Dio ama l' umanità, i Suoi disegni sono a noi mortali sconosciuti, ma come nell' Antico e Nuovo Testamento, ci ha donato e ci donerà chi, con coraggio, sa e saprà accendere una luce sul percorso che dobbiamo prendere