Il 21 a primavera
LA RECENSIONE In occasione della Giornata mondiale della Poesia urge riscoprire il disco “Milva canta Merini”. Pubblicato nel 2004, è un antidoto sicuro all’appiattimento del dibattito pubblico
Un problema, un nemico, un eroe, una soluzione: tanto il dibattito pubblico è viziato da una semplificazione totalizzante, tanto l’animo pretende risposta alle domande di senso. L’inquietudine di fondo, presente per genetica nel cuore dell’uomo, può essere silenziata, certo, anestetizzata, forse, mai sradicata del tutto. Così, per il 21 marzo 2022 non si può che consigliare un disco che tutto fa fuorché semplificare: “Milva canta Merini” (Nar International, 2004).
Nella Giornata mondiale della Poesia, istituita da Unesco nel 1999, questo disco porta l’ascoltatore in un viaggio indietro nel tempo, invitandolo a un riorientamento percettivo. Come in tempi di dame e cavalieri, in tempi di castelli e signori, in tempi di oscuri nemici e grandi battaglie: c’è un respiro medievale nell’incontro di violino, viola, violoncello e mandolino, in quel sapore antico che gli archi regalano ai brani di “Milva canta Merini”. C’è l’eco di un’epoca dura e sofferta, nella quale l’uomo avvertiva tutta la fragilità della propria condizione e per questo innalzava cattedrali e ascoltava il rintocco delle campane, un suono che è il respiro dimenticato dell’Europa. È la tensione verso l’alto il filo rosso che lega i brani dell’album, anche quando i suoni si fanno così profondi da far tremare i polsi, anche quando è facile «perdersi nella giungla dei sensi».
Alda Merini, che nel disco è una presenza palpabile e dalle mille forme, fa ciò che gli artisti hanno sempre fatto nella storia: guarda il mondo e vede qualcosa di più. Scorge frammenti di verità fra le pieghe del reale e li restituisce al lettore attraverso la poesia. Forse la rugiada che fa brillare l’erba al mattino è il pianto di Proserpina? Certo ci sono assonanze e vibrazioni che sfuggono all’occhio umano, occhio che, se staccato dall’anima, non è più capace di cogliere la ricchezza. E l’anima di Alda era troppo sensibile e irrequieta per non lasciarsi toccare, afferrare, spintonare e ferire dalla vita.
La sofferenza del poeta non è stereotipo rassicurante per meglio etichettare l’artista, ma prezzo da pagare per farsi più vicino alla realtà, per sentire sulla propria pelle una parte di ciò che rimane escluso dalla quotidianità. «Potessi amore mio, di te far senza», scrive Alda Merini, toccando con un solo verso l’esperienza di ogni lettore. Ed è qui la grande sfida per l’interprete Milva: rendere accessibile l’universalità di queste parole, il cui vero obiettivo non è richiamare nella mente dell’ascoltatore il volto di un amore, ma aprirlo alle domande più profonde sull’amore, sull’equilibrio fra la dipendenza dall’altro e l’autonomia.
Se l’artista si ferma al resoconto soggettivo di una storia d’amore finita male, per scegliere un esempio commercialmente efficace, il potere catartico dell’arte non si attiva. Non c’è purificazione, non c’è sublimazione, non c’è liberazione, c’è solo condivisione di esperienze e temporaneo alleggerimento della sofferenza. La catarsi invece consente di andare oltre, consente di fare un passo in più, verso la libertà.
Allora ben vengano dischi come “Mila canta Merini”, pubblicato ormai 18 anni fa eppure fresco come appena distribuito. Sfogliando la rassegna stampa del concerto di presentazione dell’album (i video inseriti nell’articolo sono tratti da quel recital, tutto esaurito al Piccolo Teatro Strehler), non si può che provare nostalgia per i suoni, i profumi, le emozioni e le sensazioni del teatro, non si può che sperare in una riapertura piena, senza più illecite discriminazioni.
Il 16 marzo 2004 il Corriere della Sera scrive: «Buio. Al pianoforte c’è lei. L’Alda. Al microfono Milva. La “pazza della porta accanto” con la musa di Strehler e Piazzolla. Vicine in un concerto speciale che celebra il ritorno della rossa alle canzoni in italiano dopo undici anni con l’album inedito “Milva canta Merini” e festeggia il compleanno della poetessa dei Navigli, nata a Milano il 21 marzo di 73 anni fa. “E’ il mio omaggio ad una grande artista e ad una donna che ho sempre stimato ed amato”, racconta Milva».
Il 17 marzo 2004 l’Alto Adige racconta: «Ma, come detto, il colpo di teatro arriva a metà serata, quando lo stesso autore delle musiche accompagna in scena Alda Merini, da pochi giorni dimessa dall’ ospedale e in procinto di rientrarvi per un intervento all’anca. La poetessa cammina appoggiandosi a un bastone, che diventa però come invisibile agli occhi del pubblico, grazie all’energia che subito esprime la Merini: quando Milva le chiede cosa prova a trovarsi sul palco, lei risponde come d’abitudine, senza peli sulla lingua: “Non sento proprio niente, perché a me di questa situazione non me ne frega davvero niente”».
Sempre il 17 marzo TGCOM24 svela un retroscena: «Terminato il concerto, in un incontro riservato a pochi giornalisti e a qualche amico, Milva racconta i retroscena del suo rientro professionale. Racconta: "La mia casa discografica voleva che pubblicassi un disco di brani pop. Mi dicevano... sarai la regina del pop dell'anno 2004... Ma io non ho alcuna voglia di essere regina e tantomeno del pop. La mia età non me lo consente". E ancora: "In questi anni ho lavorato molto all'estero. Ma mi mancava molto lavorare qui in Italia. Volevo riapparire con un prodotto di qualità e adatto a me, oltre che al mio pubblico"». Scelte controcorrente, spesso avversate dalle grandi case discografiche italiane, ma il percorso di Milva è costellato di dischi inaspettati. E quando sembra di aver messo a fuoco l’immagine della Rossa, eccola fuggire verso un nuovo Paese, un nuovo spettacolo, una nuova sfumatura di voce.
Oggi, 21 marzo 2022, non si può che consigliare “Milva canta Merini”. Perché la semplificazione delle sfide porta ad «asfaltare l’anima di veleno» e un cuore pieno d’inquietudine non può permettere che ciò accada. Il pubblico potrebbe non capire un disco complesso? Il pubblico ha bisogno di evasione? Il pubblico non deve pensare troppo? Risponde Milva, intervistata dalla Provincia di Como il 17 marzo 2004: «Mi creda il pubblico capisce molto di più di quanto pensiamo, o perlomeno di come pensa il mercato. Non è scemo. Ho sempre trovato un pubblico sensibile alle mie scelte, basta farglielo sapere». (Riproduzione riservata)
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