Il vescovo di Pavia: “La Chiesa non sia eco di altre istituzioni”
San Siro, mons. Sanguineti richiama alle domande di senso sulla vita e mette in guardia: «Ogni potere totalitario si afferma e si regge sul silenzio e l’inazione delle “brave” persone»
Non basta la scienza, non basta la tecnologia, non basta la solidarietà. La Chiesa oggi deve trovare il coraggio di portare nel dibattito pubblico le questioni radicali, le domande di senso sulla vita dell’uomo, riscoprendo l’opera evangelizzatrice che ha caratterizzato san Siro, primo vescovo di Pavia. Ha affrontato molti temi caldi la lunga omelia del vescovo Corrado Sanguineti, pronunciata giovedì 9 dicembre 2021 in duomo, in occasione della solennità di san Siro. Omelia che è ruotata attorno ad alcune domande: «Qual è il contributo che come cristiani siamo chiamati a offrire oggi? Che dono originale, che parola singolare è chiamata a testimoniare e a offrire la Chiesa di Pavia qui e ora, in questo tempo?».
Forte, e ripetuto, il richiamo del vescovo di Pavia affinché i cristiani non rinuncino a far sentire la propria voce nel mondo, un mondo: «Sempre più chiuso alla trascendenza, che elimina Dio e il mistero dall’orizzonte della vita e che confida, talvolta in modo esagerato, nella scienza come unica forma di conoscenza valida e come soluzione a tutti i problemi; anche una certa enfasi sulla “fede nella scienza” di fronte alla complessa sfida del Covid va in questo senso».
Concentrare ogni comunicazione massmediatica sulla “fede nella scienza”, ha spiegato il vescovo Corrado, rischia di far perdere la complessità del reale. Ed è un pericolo anche per la Chiesa: «Una Chiesa che si limitasse a ripetere parole di saggezza, a dare consigli di buon comportamento sociale, magari adeguandosi, in certi campi, a un linguaggio generico e “inclusivo”, o facendo semplicemente eco a raccomandazioni dello Stato e dell’OMS, forse troverà ascolto, almeno all’apparenza, entrerà nel circolo del politically correct, ma alla fine si confonderà con altre agenzie di pensiero e di costume, e perderà la sua forza attrattiva e la sua capacità di essere una “minoranza creativa”».
Ridurre tutto alla scienza fa dimenticare l’uomo e la sua complessità: «La circostanza inattesa della pandemia, che si sta prolungando più di ciò che immaginavamo, con tutte le sue pesanti conseguenze sanitarie, sociali, psicologiche e spirituali, mette allo scoperto la terribile fragilità di una certa visione dell’esistenza, tutta schiacciata sull’immediato, sul consumo, sull’accumulo di beni e il godimento di emozioni e “esperienze” – ha ricordato monsignor Sanguineti –. È un momento in cui tornano a farsi largo le domande inestirpabili dell’uomo sul senso della vita e della morte, sul significato dell’umano soffrire, su ciò che veramente vale e ha consistenza: chi è leale con la propria esperienza, riconosce l’evidenza del limite che ci costituisce come esseri umani, - non siamo padroni della vita, né propria, né altrui – e al tempo stesso la forza inesauribile di un desiderio di vita, di pienezza, di positività che nulla riesce a cancellare. Siamo creature finite, mortali, tuttavia portiamo in noi un’apertura all’infinito, un’inquietudine che ci rende vivi: c’è come in noi un “punto di fuga” che sfonda il limite, l’apparente e ci spalanca al mistero, a Dio, a Colui che è ragione e fondamento ultimo di tutto ciò che esiste».
Esiste, ha ricordato ancora il vescovo Corrado, il pericolo che l’identità stessa dell’uomo possa essere cancellata dal trans-umanesimo, riconoscibile dalla: «Crescita, nell’Occidente ricco e sazio, di una mentalità di morte, che difende il “diritto” all’aborto, all’eutanasia e al suicidio assistito, in nome di una libertà assoluta che vuole disporre totalmente di sé; infine, la diffusione di pratiche come l’utero in affitto e le varie forme di fecondazione artificiale, che sempre più trasformano la generazione di un figlio a un processo di produzione, con l’esito di ridurre il bambino concepito a oggetto di commercio, magari, una volta nato, abbandonato e lasciato ad altri, come la recente vicenda della bimba “parcheggiata” per un anno in Ucraina».
In un tempo che soffia sullo scontro, che invita a vedere l’altro non come fratello ma come nemico, il Vangelo ricorda che è possibile camminare insieme anche partendo da strade differenti: «Possiamo fare un tratto di strada con tanti fratelli uomini, che magari non condividono la nostra fede, ma sono aperti al bene, si lasciano toccare e ferire dai bisogni degli altri, hanno voglia di costruire una convivenza più umana, ci tengono al tesoro del creato e a un nuovo rapporto con la natura, non accettano acriticamente certe tesi del pensiero dominante o la follia d’inventare un linguaggio ideologico che nega l’evidenza». La voce dei cristiani nella società può dunque essere vero strumento di pace proprio quando va oltre il pensiero dominante, quando dietro alla solidarietà rivela un cammino verso il Cielo, quando dietro la scienza ricorda la tutela della vita, quando dietro la politica veglia come sentinella per custodire l’umano.
Ritrovarsi in cattedrale per la festa della diocesi e della città, riconoscersi dopo mesi di lontananza e pregare insieme non può diventare un gesto automatico, non può finire lì, ha esortato ancora il vescovo: «Ricordiamoci che ogni potere totalitario, più o meno violento, si afferma e si regge sul silenzio e l’inazione delle “brave” persone, dei “buoni” e degli ignavi: Vaclav Havel, dissidente nella Cecoslovacchia comunista, divenuto poi presidente della nazione finalmente libera dopo gli eventi dell’89, un laico aperto al mistero e alla dimensione spirituale della vita, ricordava “il potere dei senza potere” che consiste nel non cedere mai alla menzogna incominciando dal linguaggio, dal chiamare le cose per quello che sono».
La Chiesa come minoranza creativa, come sale in una Terra che rischia di perdere sapore. La Chiesa come custode dell’identità e della dignità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale. La Chiesa che è in Pavia come presenza viva capace di ascoltare le domande della città per poi offrire risposte di vera speranza. (Riproduzione riservata)
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