La morte di un amico a quattro zampe
Il dolore del distacco non deve cancellare la speranza. Gli animali, frammenti della Creazione, ricordano all’uomo che nulla è lasciato al caso. Paolo VI: «Anch’essi sono creature di Dio»
Arrivare alla porta di casa e sentire il silenzio. Nessun miagolio, nessun concerto di fusa. Aprirla e non veder comparire quella sagoma bianca pelosa che accoglie impaziente, desiderosa di recuperare le ore di lontananza. Entrare e trovare le ciotole vuote, qualche giochino sparso, ma soprattutto l’assenza. Un’assenza così silenziosa da diventare assordante. Cos’è successo? Un giorno si diventa grandi e si va a vivere da soli. Il giorno dopo (letteralmente) in casa arriva un gatto che per i tredici anni successivi condivide il quotidiano. Si stabilisce una relazione difficilmente spiegabile a parole, una relazione fatta di domande e risposte, ma anche e soprattutto di sguardi. Lo sguardo dei gatti è un mare che muta aspetto continuamente, a seconda di ciò che il micio vede e sperimenta. E l’umano impara pian piano a navigare, riconoscendo le tempeste e godendo della bonaccia. Ogni gatto ha una personalità differente, ma si dice che tendenzialmente i maschi siano più “coccolosi”; pur crescendo, infatti, rimangono sempre bisognosi di vicinanza e affetto, a differenza delle femmine che conservano una forte indipendenza.
Per chi scrive, dal secondo giorno di convivenza la teoria è stata confermata e superata: il micio desiderava il contatto fisico con strusciate e piccoli morsi, il dialogo con un’ampia gamma di miagolii e l’attenzione costante con stratagemmi e dispetti. Voleva lo sguardo dell’umano su di sé, si ingelosiva presto se quest’ultimo si dedicava a telefonate troppo lunghe ignorandolo, o se lo escludeva da una stanza chiudendo la porta. La prima regola imparata in questi tredici anni? Vietato chiudere la porta sul muso a un gatto. Lui vuole vederti, seguirti, farti compagnia. Tu lo chiami, ma anche lui chiama te e non solo quando ha fame. A volte chiama per proporre un gioco, a volte chiama anche solo per la compagnia, per restare seduti vicini sul divano un po’ di tempo. Incrocia il tuo sguardo e comunica.
Quando non stai bene il gatto diventa un angelo custode, ti si attacca e non si stacca più. Sembra controllare i tuoi movimenti, il tuo respiro, come se volesse monitorarti e intervenire in caso di peggioramento. E che dire delle volte che, magari con piccoli morsi, ti sveglia durante un incubo notturno? E così, sguardo dopo sguardo, si cresce. Gli anni passano, il micio diventa anziano e compaiono i primi acciacchi o, purtroppo, vere e proprie malattie inguaribili. La relazione, a quel punto, si fa ancora più intensa, perché il gatto ha bisogno di maggiori cure, di maggiore presenza. Lo sguardo chiede supporto, la quotidianità chiede fiducia. Ma anche negli anni della vecchiaia felina e della malattia, le giornate sono piene di momenti preziosi. Si gioca meno, si corre meno per la casa e non si scalano più tutti i mobili, ma si continuano a regalare fusa con generosità infinita.
Poi, un giorno, lo sguardo muta ancora una volta. Prima sempre attenti a ogni minimo movimento, ecco che quegli occhi azzurri iniziano a perdersi nel vuoto. Il pianto sommesso del gatto richiama vicino l’umano, che ormai ha capito e non può far altro che sedersi accanto all’amico fidato e accarezzarlo, parlargli, confortarlo. L’umano cerca di trattenere le lacrime, ma è impossibile. Carezza dopo carezza, la vita lascia la presa. Senza irrispettosi paragoni con la perdita di un familiare o di una persona cara, l’umano sperimenta però un dolore profondo.
Perché, credenti o no, quel piccolo esserino è stato per tredici anni un frammento della Creazione, un promemoria di quella misteriosa armonia eterna che si compirà solo dopo la morte. Quello sguardo felino, che per tredici anni ha incrociato lo sguardo umano, è la conferma che nulla nella Creazione è lasciato al caso, nulla è il risultato di un caotico e casuale mescolamento di materia. Ogni più piccolo dettaglio naturale su questa Terra è frutto di un pensiero del Cielo. Non è inutile la sofferenza, mai. Non è dolore sterile quello che si prova seduti sul pavimento in lacrime mentre quel piccolo e fidato amico a quattro zampe se ne va. Sono ore di straziante grazia, sono ore che portano frutto anche se gli occhi sono e continuano a essere troppo pieni di lacrime per vederli.
Dopo la morte l’umano incontrerà ancora il suo amico a quattro zampe? Chi scrive, purtroppo, non ha la risposta. Ma è bello riascoltare le parole pronunciate da Paolo VI durante l’udienza generale di mercoledì 28 maggio 1969 quando, salutando una delegazione di veterinari, disse: «Desideriamo esprimere a voi, e, per il vostro tramite, a tutti i vostri colleghi, il Nostro compiacimento per la competenza, il senso del dovere, con cui vi prodigate sia per l’utilità del consorzio civile, nel campo specifico a voi riservato, sia per la cura che prestate agli animali, anch’essi creature di Dio, che nella loro muta sofferenza sono tuttavia un segno dell’universale stigma del peccato, e dell’universale attesa della redenzione finale, secondo le misteriose parole dell’apostolo Paolo: “L’intera creazione anela ansiosamente alla manifestazione gloriosa dei figli di Dio (...). Anch’essa verrà affrancata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla libertà della gloria dei figli di Dio” (Rom. 8, 19, 21)».
Nell’udienza generale del 10 gennaio 1990, Giovanni Paolo II aggiunse: «Altri testi, tuttavia, ammettono che anche gli animali hanno un alito o soffio vitale e che l’hanno ricevuto da Dio. Sotto questo aspetto l’uomo, uscito dalle mani di Dio, appare solidale con tutti gli esseri viventi. Così il Salmo 104 non pone distinzione tra gli uomini e gli animali quando dice, rivolgendosi a Dio creatore: “Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono” (Sal 104, 27-28). Poi il Salmista aggiunge: “Se togli loro il soffio, muoiono e ritornano nella polvere. Mandi il tuo soffio, sono creati e rinnovi la faccia della terra” (Sal 104, 29-30). L’esistenza delle creature dipende dunque dall’azione del soffio-spirito di Dio, che non solo crea, ma anche conserva e rinnova continuamente la faccia della terra».
In un’intervista pubblicata sulla Nuova Bussola Quotidiana il 3 agosto 2011 padre Angelo Bellon, dell’Ordine dei Predicatori (domenicani), docente di teologia morale alla facoltà teologica dell’Italia settentrionale, spiegava: «Chi va in Paradiso vede direttamente nella mente di Dio. E nella mente di Dio si vede tutto ciò che Dio ha creato, tutto ciò che Dio conserva nell’esistenza istante per istante e anche tutto ciò che Dio avrebbe potuto creare. Per questo in Dio vedremo tutti gli animali che sono esistiti sulla faccia della terra. Li vedremo in tutto il corso della loro esistenza, anche nelle relazioni che hanno avuto con noi. Li vedremo soprattutto in rapporto a Dio e al suo piano salvifico perché anche per mezzo loro si è manifestata la Provvidenza di Dio nei nostri confronti».
La compagnia di un animale domestico può essere un dono di Dio. E i Suoi doni sono per sempre. Ciao, mio bellissimo Eolo. (Riproduzione riservata)
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