La radio, la gavetta e la Chiesa in casa
IL COMMENTO L’ultimo saluto a don Mario Galbiati, sacerdote ambrosiano, fondatore di Radio Maria e di Radio Mater. Un ricordo personale: «Qui ho imparato che le notizie bisogna darle col cuore»
Carissimo don Mario, sono tornato in radio per salutarla e ho ritrovato una casa con le porte spalancate. È rimasto tutto come prima, tutto identico al giorno della mia ultima diretta. Sono rimasti uguali gli abbracci di Giovanna e Mario, i mille colori del giardino, gli occhi della Mamma Celeste in Cappellina, i profumi che si respirano percorrendo il corridoio degli studi. E poi i microfoni, i dischi, le scalette. Oggi mi siedo sulla panchina dove mettevo in ordine gli appunti durante la maratona della GMG 2016, quasi una settimana di dirette, dalla mattina alla sera. Se la ricorda, don Mario? Si ricorda i nostri pranzi insieme? Io e Alessandro, il nostro indimenticabile regista, la raggiungevamo in cucina, ma la televisione era sempre accesa: papa Francesco infatti amava stravolgere le scalette e più di una volta abbiamo dovuto lasciare pranzi e cene a metà per tornare in studio. Il suo amato Dodic (“Dono di Dio alla comunità) ci guardava perplesso ma non abbaiava, ormai conosceva bene le regole della diretta.
Mi guardo attorno e rivedo il grande rosario sulla facciata che la sera si illuminava e diventava visibile anche da lontano, rivedo il balcone della sala regia e ricordo quando Mario mi ha lanciato su pane e fichi secchi per rifocillarmi. Ricordo anche quando sono stato lasciato da solo in regia, ma io non ero assolutamente in grado di gestire la parte tecnica: quando la canzone è finita, non sapendo come metterne un’altra, ho acceso il microfono e ho iniziato a parlare, parlare, parlare.
Qui, in questa bella sede ad Albavilla, ho imparato che le notizie bisogna darle col cuore, che l'informazione deve sempre custodire l'umano. Che “Leggiamo insieme Avvenire” non doveva essere solo una rassegna stampa, ma un accompagnare i lettori tra le notizie quotidiane. Che la radiocronaca degli eventi doveva essere precisa, rigorosa, ma anche paziente, tranquilla. Che le dirette da inviato dovevano essere un biglietto di viaggio per i tantissimi ascoltatori che non potevano essere lì presenti con noi, penso al Congresso Eucaristico di Genova del 2016, all’ingresso di monsignor Mario Delpini in diocesi nel 2017, alla visita di papa Francesco a Milano del 2017 o alla beatificazione di Teresio Olivelli nel 2018 a Vigevano. I tempi non li detta la pubblicità, li detta la comprensione degli ascoltatori, che devono poter partecipare all’evento da casa grazie alle parole del giornalista o del conduttore.
Qui ho imparato anche che gli ascoltatori sono volti e storie, che sono persone da informare e non numeri da conteggiare. Che con gli ascoltatori si dialoga sempre: questa regola non valeva solo per i conduttori delle trasmissioni spirituali, ma anche per i giornalisti che curavano rassegne stampa e radiocronache. Massima professionalità nella cronaca, dunque deontologia ed equilibrio, massima empatia nell’ascolto, dunque umanità e rispetto. Sono stati anni preziosi, che non si possono dimenticare.
Grazie, carissimo don Mario, per la sua capacità di affidarsi anche quando tutti i segnali del mondo invitavano a cedere. Per la sua scelta di non calpestare mai la speranza, di non tradire mai la sua Chiesa alla quale ha donato un amore forse non sempre ricambiato. Alla quale ha donato una fiducia forse non sempre meritata (parlo di rappresentanti umani della Chiesa, ovviamente). Lo so, lo so, lei non approverebbe mai questa chiosa, ma io sono un giornalista e devo fare cronaca anche quando è scomoda.
Comunque, alla fine ha vinto lei (no, non approverebbe neanche questa), perché ha dimostrato che la fede e l’affidamento hanno portato frutto. La fila ininterrotta di persone che anche adesso mi si snoda davanti parla da sola. Dai torti subiti e accettati con misericordia, basti pensare al “temporale umano” che le strappò Radio Maria, sono nati fiori e frutti profumati. Di fronte alle cattiverie, agli interessi economici e di potere, lei fino all’ultimo ha risposto: «Silenzio e preghiera». E non era retorica, perché i suoi occhi non sapevano mentire.
Scrivendo mi torna alla mente la sera del mio compleanno, quando ho risposto al telefono e lei, Giovanna e Mario avete iniziato a cantare “Tanti auguri a te”. Radio Mater era tutto questo, Radio Mater è tutto questo e mi auguro che lo sarà ancora per tanti anni. “La radio che porta la Chiesa in casa e che tutti riunisce nell’amore come una sola famiglia”. Per sempre. (Riproduzione riservata)
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