#lachiesachecè: un giornalismo possibile
Con la sua rubrica social Martina Pastorelli dà voce a chi non ha voce nel circuito mainstream. «Racconto “l’altra storia” perché oggi vige un pensiero unico che nega la verità sull’uomo»
Sì, è possibile parlare di Chiesa - e far parlare la Chiesa - liberando il dibattito dalle etichette, dalle cornici che «definiscono, ingabbiano, pregiudicano l’ascolto e quindi il dialogo». Sì, è possibile cercare un terreno comune, fatto di valori condivisi e promossi con passione autentica, seppur con armonie e sfumature differenti. Sì, è possibile riscoprire (nell’interesse di tutti) che quel terreno comune esiste grazie a una fitta trama di radici cristiane, imprescindibile anima dell’Occidente secolarizzato.
Da qui nasce l’impegno di Martina Pastorelli, giornalista, già fondatrice di Catholic Voices Italia (per cui nel 2014 ha curato il manuale di comunicazione Come difendere la fede senza alzare la voce, ed. Lindau) e più di recente ideatrice de “#lachiesachecè”, un contenitore social fatto di contributi video, notizie e riflessioni per rimettere al centro del dibattito pubblico il patrimonio di ragione, etica e umanità della tradizione cristiana.
«Per un cristiano, insieme all’annuncio la testimonianza è fondamentale – spiegava Martina Pastorelli alla presentazione del Manifesto sulla comunicazione non ostile nel 2017 –. Un cristiano ostile smentisce ciò in cui crede, quindi non è più credibile. E chi non è credibile non comunica».
Così non sorprende che “#iVescoviParlano” la rubrica con la quale Martina Pastorelli ha dato voce ai vescovi italiani chiamandoli, in quanto esponenti della Chiesa che c’è e si fa prossimo, a parlare dei temi etici inclusi i più sensibili e divisivi, spenga oggi le 200 candeline. Sono tante infatti le “pillole video” realizzate nell’arco di un anno, per dimostrare che: «Comunicare su temi morali e sociali (immigrazione, eutanasia, aborto, ecologia, lavoro, cultura, fede, scuola, abusi, donne) tenendo insieme verità e misericordia è possibile».
Recentemente, di fronte alla controversa gestione della pandemia, #lachiesachecè ha scelto di partecipare attivamente al dibattito pubblico non come ripetitore di messaggi provenienti dal circuito ecclesiale mainstream, bensì come amplificatore di punti di vista estranei alla narrazione dominante, che aiutino a guardare la complessità della realtà: da qui le pillole video con Andrea Zhok, filosofo, Emilio Mordini, psicoanalista, Sara Gandini, scienziata, Francesco Benozzo, linguista, Paolo Sceusa, magistrato, Maddalena Loy, giornalista, Alessandro Calloni, sacerdote, Alberto Contri esperto di comunicazione sociale, e molte altre voci scelte sulla base di una linea editoriale precisa: non c’è libertà senza consapevolezza, non c’è giornalismo senza notizie, tutte le notizie.
Martina Pastorelli, raccontare #laltrastoria non è semplice, non è comodo e non porta le luci dei riflettori mainstream: allora perché farlo? «Innanzitutto perché la Chiesa ha bisogno che si conosca “l’altra storia” su se stessa: sul grande “Si” che dice all’uomo di oggi contrariamente al grande “No” che viene percepito su tutta una serie di questioni (aborto, eutanasia, gender, procreazione assistita, ecc) e sul fatto che – come diceva Benedetto XVI – il Cristianesimo è una “opzione positiva” laddove oggi questa percezione è quasi scomparsa. Prioritario insomma è uscire dalle “cornici” che oggi impediscono al vero messaggio di arrivare. Ma c’è bisogno di raccontare “l’altra storia” anche perché oggi vige un pensiero unico che nega la verità sull’uomo e riduce la realtà, con tutto ciò che ne consegue: in questa situazione serve invece più che mai la capacità di tenere uno sguardo d’insieme, sull’uomo e sulla complessità, mostrando, come la Chiesa ha sempre fatto e insegnato a fare, che tutto si tiene. Prendiamo l’attuale crisi, che nasce come sanitaria ma sta avendo una serie di conseguenze sociali, politiche, giuridiche, qualcuno sostiene persino antropologiche. Come seguaci della religione del logos, non possiamo restare muti su queste implicazioni, rinunciare a discernere e non articolare un pensiero che tenga conto di tutti gli aspetti in gioco; in quanto “Chiesa in uscita” dobbiamo andare verso le persone - tutte - per esser luce e conforto; in nome della prossimità tanto cara a Papa Francesco dobbiamo saper ascoltare dubbi, preoccupazioni e angosce senza liquidarle; in quanto “esperta in umanità” (come la definì Paolo VI), la Chiesa deve vegliare affinché non vengano mai violati i diritti fondamentali delle persone e affinché la scienza sia sempre al servizio dell’uomo anziché il contrario. Questo, credo, è il compito di una Chiesa che c’è, ed è il contributo che provo a dare con queste pillole video di riflessione e analisi a tutto tondo».
Ci sono temi etici che vengono censurati o iper semplificati tramite etichette ideologiche da molto tempo: perché questa riduzione continua della sfera morale ed etica dal dibattito pubblico? «Questa semplificazione è conseguenza dell’ideologia oggi prevalente che menzionavo prima, il riduzionismo: la persona viene ridotta ai suoi geni o neuroni, l’amore a chimica, la famiglia ad un accordo, la procreazione a produzione in laboratorio, la verità a sensazione, i diritti a desideri e così via. Con il risultato che la realtà viene spezzettata, una posizione particolare viene fatta valere per l’intero, e così si sovverte ogni ragione e buon senso. C’è poi una forte tendenza a relegare la fede alla sfera privata, cui segue la progressiva espulsione delle problematiche etiche dall’ambito pubblico: così, paradossalmente, ci ritroviamo ad avere una classe politica (ma anche un gran numero di cattolici) che pensa ad esempio non sia possibile discutere pubblicamente che cosa si debba intendere per famiglia. Infine non sottovaluterei l’aspetto comunicativo di questa evidente autocensura cattolica: il fatto di aver parlato molto in passato di temi etici senza essere suonati convincenti ma anzi venendo percepiti e descritti come aggressivi, medioevali, retrogradi, intolleranti, ecc ha fatto sì che molti oggi temano di affrontare questi argomenti e magari si buttino sul sociale, più però assecondando il pensiero mondano che dando conto della dottrina della Chiesa: è quello che sta succedendo su temi caldi quali immigrazione e ambiente, dove la Chiesa – per insistenza e contenuti – talvolta dà l’impressione di parlare come una ONG qualunque. Al punto che lo stesso Papa ha messo in guardia da questo rischio. Insomma: su temi centrali, non essendo attraenti ma respingenti, abbiamo smesso di parlare tout-court. Ma siamo solo passati da una cornice al suo opposto».
Il giornalismo affronta oggi la sua crisi più grande, una crisi che è anche di fiducia e di deontologia a lungo calpestata. Cosa sta succedendo alla professione? «Le cause di questa crisi sono molteplici ma dovendo indicare la principale direi la perdita di indipendenza, economica e morale: vero che in Italia non sono praticamente mai esistiti gli editori puri e che giornali e tv hanno risposto ora a un padrone ora a un partito (pensiamo alla Rai lottizzata). Ma c’era un limite, deontologico e prima di tutto umano, che il giornalismo non superava, a cui il giornalista non si abbassava. Ora questi limiti sembrano saltati e pur di vendere il “prodotto” e battere la concorrenza dei New Media si è disposti a tutto: violare regole di civiltà (pensiamo alla gogna cui il giornalismo espone le persone per fini spesso politici), calpestare la deontologia (la Carta di Treviso sulla tutela dei minori è per molti carta straccia), financo “vendersi”. Significativo a tal proposito il racconto monocorde della gestione della pandemia: tutti allineati, poche voci fuori dal coro, nessuna volontà di andare oltre la verità rivelata dalle autorità e dalle multinazionali del settore farmaceutico, zero analisi e inchieste, perfino censura. Tanto che sempre più persone hanno del giornalismo una cattiva opinione: i cori di “venduti”, e “vergogna” gridati sotto le sedi di tv e quotidiani locali nelle manifestazioni di piazza che si susseguono da mesi ne sono la triste prova». (Riproduzione riservata)
Per restare sintonizzato su “Notturno” clicca su “Subscribe” e iscriviti. “Notturno” vive grazie ai lettori: se ti abboni sostieni il lavoro giornalistico della newsletter e ottieni l’accesso completo all’archivio. Riceverai inoltre, ogni settimana, un contenuto riservato agli abbonati.