Lombardia, “Liberi subito” arriva in Regione
La proposta di legge dell’Associazione Luca Coscioni sul suicidio medicalmente assistito ha raccolto 8mila firme tra i lombardi. La stampa mainstream applaude. Il "sì" alla vita di Giovanni Paolo II
Giovedì 18 gennaio 2024 saranno depositate in Lombardia le firme per la proposta di legge “Liberi subito”, promossa dall’Associazione Luca Coscioni. Secondo gli organizzatori sono stati 8.181 i cittadini lombardi che hanno firmato. La proposta di legge “Liberi subito” mira a garantire «il percorso di richiesta di “suicidio” medicalmente assistito e i controlli necessari in tempi certi, adeguati e definiti», come si legge sul sito dedicato. La comunicazione è legata allo slogan “Liberi fino alla fine”, utilizzato anche nella campagna dedicata alla proposta di legge per legalizzare l'eutanasia. Dal 2013 dietro alle iniziative per legalizzare l’eutanasia in Italia vi è il CEL, ovvero il Comitato Eutanasia Legale, del quale fanno parte l’Associazione Luca Coscioni, l’UAAR, Radicali Italiani e la “chiesa” pastafariana italiana.
L’impegno di queste realtà è volto a rendere socialmente accettabile l’idea della disponibilità della vita umana, così da poter poi avanzare la richiesta della definitiva legalizzazione senza incontrare particolari resistenze. Una strategia comunicativa più efficace che mai nel tempo dei social e degli slogan, un tempo caratterizzato dall’ipersemplificazione dei concetti complessi e dal predominio dell’ideologia sulla realtà. Sul tema la stampa mainstream rincorre Marco Cappato e presenta la vita divenuta un bene disponibile (dunque a disposizione del più forte) come un nuovo, grande diritto civile. E la politica tutta fa lo stesso, con la Lega di Luca Zaia in Veneto schierata in prima linea nel promuovere il suicidio assistito.
Per rinnovare il dibattito, per liberarlo dal pericolo del pensiero unico, è necessario rompere la narrazione dominante e ascoltare anche parole diverse. In tema di indisponibilità della vita umana urge riscoprire il magistero di Giovanni Paolo II, il Papa che già nel 1995 lanciò l’allarme: «Nell'orizzonte culturale complessivo non manca di incidere anche una sorta di atteggiamento prometeico dell'uomo che, in tal modo, si illude di potersi impadronire della vita e della morte perché decide di esse, mentre in realtà viene sconfitto e schiacciato da una morte irrimediabilmente chiusa ad ogni prospettiva di senso e ad ogni speranza. Riscontriamo una tragica espressione di tutto ciò nella diffusione dell'eutanasia, mascherata e strisciante o attuata apertamente e persino legalizzata. Essa, oltre che per una presunta pietà di fronte al dolore del paziente, viene talora giustificata con una ragione utilitaristica, volta ad evitare spese improduttive troppo gravose per la società. Si propone così la soppressione dei neonati malformati, degli handicappati gravi, degli inabili, degli anziani, soprattutto se non autosufficienti, e dei malati terminali. Né ci è lecito tacere di fronte ad altre forme più subdole, ma non meno gravi e reali, di eutanasia. Esse, ad esempio, potrebbero verificarsi quando, per aumentare la disponibilità di organi da trapiantare, si procedesse all'espianto degli stessi organi senza rispettare i criteri oggettivi ed adeguati di accertamento della morte del donatore».
Se l’eutanasia è, come ricorda il pontefice polacco, «moralmente inaccettabile», lo stesso vale per il suicidio assistito: «Condividere l'intenzione suicida di un altro e aiutarlo a realizzarla mediante il cosiddetto “suicidio assistito” significa farsi collaboratori, e qualche volta attori in prima persona, di un'ingiustizia, che non può mai essere giustificata, neppure quando fosse richiesta. (…) Anche se non motivata dal rifiuto egoistico di farsi carico dell'esistenza di chi soffre, l'eutanasia deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante perversione di essa: la vera compassione, infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza. E tanto più perverso appare il gesto dell'eutanasia se viene compiuto da coloro che — come i parenti — dovrebbero assistere con pazienza e con amore il loro congiunto o da quanti — come i medici —, per la loro specifica professione, dovrebbero curare il malato anche nelle condizioni terminali più penose».
Giovanni Paolo II ricorda che la non disponibilità della vita umana è alla base della società, del vivere civile, è alla base di ogni diritto del cittadino. Rendere la vita un bene disponibile, mette in guardia il Papa, significa aprire le porte all’orrore: «Così la vita del più debole è messa nelle mani del più forte; nella società si perde il senso della giustizia ed è minata alla radice la fiducia reciproca, fondamento di ogni autentico rapporto tra le persone». (Riproduzione riservata)
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