Nessun atto d’amore, solo menzogne
EDITORIALE Le dichiarazioni della responsabile commerciale Pfizer smontano definitivamente la retorica del “mi vaccino per proteggere i fragili”. Due anni di slogan, falsi
«Il vaccino è un atto d’amore» è sempre stato una menzogna. Sempre. La conferma più recente è arrivata martedì 11 ottobre 2022, quando Rob Roos, europarlamentare olandese, ha chiesto a Janine Small, responsabile commerciale Pfizer, se prima del rilascio i farmaci sperimentali anti covid fossero stati testati riguardo la capacità di bloccare la trasmissione del virus. «No, non c’era tempo», ha risposto ridendo Janine Small. Nella risata della signora Small c’è tutto. Ci sono due anni di menzogne rilanciate dai governi, dalla stampa mainstream, dai medici, da personaggi noti, persino dalla Chiesa. Di fronte alla realtà, la retorica moralista del pensare al prossimo, del preoccuparsi per i più fragili, è durata quanto un colpo di tosse. E non poteva che essere così, dato che si basava su una balla colossale.
I farmaci sperimentali attualmente in commercio sembrano in grado di offrire una protezione temporanea (non sono efficaci nelle prime due settimane post inoculazione, pare, e nemmeno dopo quattro/cinque mesi dall’inoculazione) dai sintomi gravi al soggetto che ha li ha ricevuti (il concetto stesso di “efficacia” è in continua evoluzione). Punto. Non hanno alcuna capacità di fermare la diffusione del contagio. Un elemento evidenziato subito da medici ed esperti del settore nei primi mesi del 2021 (il 27 aprile 2021 Paolo Bellavite, ematologo, lo spiegava dalle pagine di Notturno), voci che presto sono state pubblicamente delegittimate e censurate. Un elemento, a voler essere pignoli, segnalato da subito anche nei foglietti illustrativi dei farmaci stessi e nel consenso libero e informato che veniva fatto firmare a tutti i pazienti all’hub vaccinale, ma su questi dati hanno prevalso gli slogan propagandistici del “vaccino miracoloso che blocca il virus, salva vite e ci fa ripartire”.
Il 22 luglio 2021 il premier Mario Draghi affermava: «Il green pass è una misura con la quale i cittadini possono continuare a svolgere attività con la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose. È una misura che dà serenità, non che toglie serenità». La serenità (di chi?) è costata l’esclusione dalla vita sociale di milioni di cittadini italiani, è costata l’esclusione dalla vita lavorativa di migliaia di cittadini italiani, è costata numerosi effetti avversi post inoculazione che ancora oggi troppo spesso non vengono indagati. Migliaia di sanitari sono sospesi senza stipendio fino al 31 dicembre 2022, le visite nelle Rsa sono ancora vietate ai parenti sprovvisti di super green pass. Il consenso libero e informato, dunque, non è stato né libero né informato. E non c’è mai stato nessun atto d’amore nel ricevere un farmaco che protegge solo se stessi (non si sa bene per quanto), tantomeno nel riceverlo perché strozzati da spese che rendevano l’ipotetica sospensione dal lavoro un fardello insopportabile.
Il vero nome di questa operazione è violenza. La libertà di coscienza dei cittadini è stata calpestata, in Italia più che in altri Paesi. Ma l’operazione è stata camuffata grazie al conflitto orizzontale generato dalla retorica dell’atto d’amore: se lo fai, salvi vite. Se non lo fai, uccidi i più fragili. Solo un mostro si rifiuterebbe di aderire a una campagna vaccinale del genere, ma se è un mostro non è più umano, dunque a nessuno importa se viene privato dei suoi diritti fondamentali. Così i sanitari sono stati sospesi senza stipendio, i tredicenni sono stati cacciati dai mezzi pubblici, gli over 50 sono stati multati, e l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Il nemico non era più il virus, erano i cosiddetti “no vax”, pericolosi soggetti che non credevano alla scienza, che volevano uccidere i nonni, che si rifiutavano di riconoscere la scientificità del coprifuoco alle 22. Esseri immondi, esseri disumani, tanto che hanno ricevuto la delegittimazione pubblica più becera e violenta che si sia mai vista nella storia recente. Con politici, giornalisti, medici e influencer che hanno augurato loro la morte, l’arresto, il licenziamento e altre amenità simili. E tutto questo è avvenuto con la placida approvazione di larga parte dell’opinione pubblica, terrorizzata dal virus e anestetizzata dalla narrazione dominante.
E no, ancora, non c’è mai stato nessun atto d’amore nella promozione di farmaci che hanno utilizzato linee cellulari da feti abortiti per la sperimentazione (Pfizer e Moderna) e per la produzione (AstraZeneca e Johnson&Johnson). La (discutibile e discussa, soprattutto fuori dall’Italia) approvazione della Congregazione per la dottrina della fede a questi farmaci (21 dicembre 2020) poneva condizioni precise: gravissima emergenza, assenza di alternative etiche, manifestazione pubblica del dissenso all’aborto, impegno nel chiedere alle case farmaceutiche la produzione di farmaci etici.
Da questa (discutibile e discussa) eccezione, pensata per una fase drammatica nella quale se non ricevevi questi farmaci eri condannato a morte certa, si è arrivati ben presto ad hub vaccinali in spiaggia, a gelati in omaggio per chi riceveva la prima dose, a certificati di merito per bambini inoculati, a spot pubblicitari nei quali Mara Venier faceva “V” con la mano, agli esperti che cantavano “Sì sì sì vacciniamoci”. Questo è stato il consenso libero e informato dei problemi etici e medici dei farmaci sperimentali che è stato offerto dalla narrazione dominante ai cittadini italiani. E no, non era un atto d’amore per i più fragili, a meno di non considerare Albert Bourla un soggetto fragile. Era una menzogna. Una cinica menzogna. (Riproduzione riservata)
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