“No al concetto di ‘qualità della vita’ del malato”
È il 2004 quando Giovanni Paolo II torna a rivolgersi ai medici e ricorda: «Nessuna valutazione di costi può prevalere sul valore del fondamentale bene che si cerca di proteggere, la vita umana»
«Un uomo, anche se gravemente malato od impedito nell'esercizio delle sue funzioni più alte, è e sarà sempre un uomo, mai diventerà un “vegetale” o un “animale”. Anche i nostri fratelli e sorelle che si trovano nella condizione clinica dello “stato vegetativo” conservano tutta intera la loro dignità umana». È Giovanni Paolo II a ribadire ancora una volta l’indisponibilità della vita umana anche, soprattutto, per persone in stato di coscienza minima. L’occasione è il congresso “I trattamenti di sostegno vitale e lo stato vegetativo. Progressi scientifici e dilemmi etici”, tenutosi all’Augustinianum dal 17 al 20 marzo 2004.
Salutando i partecipanti al convegno, il pontefice polacco pronuncia un discorso che oggi appare in tutta la sua attualità: «Nessuna valutazione di costi può prevalere sul valore del fondamentale bene che si cerca di proteggere, la vita umana. Inoltre, ammettere che si possa decidere della vita dell'uomo sulla base di un riconoscimento dall'esterno della sua qualità, equivale a riconoscere che a qualsiasi soggetto possano essere attribuiti dall'esterno livelli crescenti o decrescenti di qualità della vita e quindi di dignità umana, introducendo un principio discriminatorio ed eugenetico nelle relazioni sociali».
Il malato conserva intatti tutti i diritti, ricorda il Papa oggi santo: «Ha dunque diritto ad una assistenza sanitaria di base (nutrizione, idratazione, igiene, riscaldamento, ecc.), ed alla prevenzione delle complicazioni legate all'allettamento. Egli ha diritto anche ad un intervento riabilitativo mirato ed al monitoraggio dei segni clinici di eventuale ripresa».
Idratazione e nutrizione sono parte fondamentale della presa in carico del paziente in stato di coscienza minima: «Vorrei sottolineare come la somministrazione di acqua e cibo, anche quando avvenisse per vie artificiali, rappresenti sempre un mezzo naturale di conservazione della vita, non un atto medico. (…) L'obbligo di non far mancare “le cure normali dovute all'ammalato in simili casi” comprende anche l'impiego dell'alimentazione e idratazione. La valutazione delle probabilità, fondata sulle scarse speranze di recupero quando lo stato vegetativo si prolunga oltre un anno, non può giustificare eticamente l'abbandono o l'interruzione delle cure minimali al paziente, comprese alimentazione ed idratazione». Giovanni Paolo II ricorda che la sospensione delle cure minimali al paziente si configura come una vera e propria eutanasia per omissione.
Ciò che accade attorno al paziente in stato di coscienza minima non rimane confinato nella sua stanza d’ospedale: «Verso queste persone medici e operatori sanitari, società e Chiesa hanno doveri morali dai quali non possono esimersi, senza venir meno alle esigenze sia della deontologia professionale che della solidarietà umana e cristiana».
Così il pontefice saluta i medici convenuti a Roma per il convegno: «Illustri Signore e Signori, in conclusione vi esorto, come persone di scienza, responsabili della dignità della professione medica, a custodire gelosamente il principio secondo cui vero compito della medicina è di "guarire se possibile, aver cura sempre" (to cure if possibile, always to care)». (Riproduzione riservata)
Per restare sintonizzato su “Notturno” clicca su “Iscriviti”. “Notturno” vive grazie ai lettori: se ti abboni sostieni il lavoro giornalistico della newsletter e ottieni l’accesso completo all’archivio. Riceverai inoltre, ogni settimana, un contenuto riservato agli abbonati. Puoi cancellare la tua iscrizione in qualsiasi momento cliccando su “Unsubscribe”.