Non è Sanremo, è nostalgia
Provocazioni blasfeme e sketch comici che calpestano il dolore di chi siede davanti al televisore in cerca di consolazione. Se dimentica l’arte, la musica diventa inutile schiava del potere
«E di colpo venne il mese di febbraio, faceva freddo in quella casa». No, non sono solo le prime note di “Alexanderplatz” a risuonare nella stanza, è qualcosa di più. È la nostalgia della bellezza. Mentre il frastuono del Festival di Sanremo 2022 (l'analisi di Monica Mondo sulla prima serata è da stampare e conservare) tenta di irrompere nelle case sfruttando televisione, radio, giornali e social, il cuore vacilla perché sperava nel potere catartico dell’arte, dolce ristoro dopo due anni difficili. Ci sperava ardentemente, perché l’ultimo anno in particolare è stato segnato da un conflitto orizzontale che sta lacerando famiglie, amicizie, rapporti di lavoro. Quotidianità.
Non si è più tutti uniti contro un virus, come nel 2020, oggi si è divisi fra buoni e cattivi, fra altruisti ed egoisti, fra scienziati e ignoranti, fra etichette ideologiche ormai totalmente slegate dalla realtà, etichette che trasformano le persone in pedine manipolabili, indirizzabili come eserciti armati di parole, ricatti e vendette. Pedine grigie, utili al potere e facilmente sostituibili. Così, in un clima che si fa ogni giorno più pesante, anche chi inizialmente ha creduto alla buona fede di alcune misure politiche infatti ne avverte ora le motivazioni economiche e di potere, una speranza è conservata nella musica.
Forma d’arte particolarmente accessibile, la musica non è per questo priva di quel potere catartico che rende l’esperienza artistica in grado di trasformare la realtà. Perché la musica possa toccare le corde più profonde dell’animo, però, deve essere arte, non marketing. Deve essere indagine, non pubblicità. Deve essere onesta, umana, rispettosa, non furba, cinica e arrogante. Come già scritto qualche tempo fa, il segreto dell’arte è in questo andare oltre sapendo che c'è altro. Oltre il visibile, il comodo, il prevedibile, oltre la realtà fattuale, oltre la realtà raccontata dalle sirene mainstream. L’arte è un viaggio durante il quale l’artista vede qualcosa di più dell’uomo comune, e generosamente lo narra al proprio pubblico. Come potrebbe compiersi altrimenti la catarsi? Dove troverebbe spazio sennò la speranza?
È salutare dunque spegnere la televisione, o cambiare canale, perché al cuore la rassegna delle provocazioni studiate a tavolino non basta. Come può uno sketch volgarmente prevedibile calmare l’ansia dell’animo umano che si sente schiacciato in una realtà troppo piccola, che sogna di viaggiare oltre le colonne dell’oblio (che «sono chiamate d’Ercole»)? Come può il cinismo che calpesta la sofferenza donare pace dopo due anni di paura, dolore, pressioni sociali ed economiche inimmaginabili?
Nessuna ingenuità: se spegnere il pensiero critico è l’obiettivo primario, cancellare le emozioni lo segue a ruota. Perché le emozioni possono diventare lo strappo nel cielo di carta anche quando la razionalità è stata soffocata. Il cuore più risvegliare la mente grazie a lacrime sincere, a risate insperate, a insoddisfazioni che smuovono le montagne. È il cuore il primo a non accontentarsi degli slogan e delle bugie rassicuranti, è il cuore che non fa calcoli di comodo, che rifiuta i compromessi, è il cuore che condanna all’infelicità se si abbandona la verità per la comodità. Che nemico pericoloso, il cuore. Che nemico insidioso per chi sogna di trasformare le persone in pedine. Perché le pedine non sussultano, le pedine non tremano, le pedine piangono e ridono a comando.
No, non è solo una canzone quella che risuona, è la nostalgia. La nostalgia di artisti che lealmente condividano un talento e una passione. La nostalgia di brividi che nascono dal profondo e non a comando. La nostalgia di canzoni capaci di cambiare la prospettiva sulle cose. Il 23 aprile 2021 è scomparsa Milva, ultima diva dal fascino mitteleuropeo, proprio la sua voce risuona adesso nella stanza. «E la sera rincasavo sempre tardi, solo i miei passi lungo i viali»: non è forse questa l’immagine che meglio descrive l’oggi? Non si condivide forse un’attesa, fermi «all’angolo come Marlene»? Quante «borse sotto gli occhi» per le troppe preoccupazioni, e per quanti non c’è nemmeno la possibilità di trovarsi «questa sera fuori dal teatro».
Si vive sospesi, indipendentemente dalle proprie scelte, «sull’orlo di un precipizio». Per questo, basta indorare pillole velenose: se la musica non è arte perde qualsiasi utilità, diventa l’ennesima schiava di un potere che tutto sfrutta, tutto divora, tutto dimentica. La sete d’infinito, inestinguibile scintilla presente in ogni persona, ci salvi da questo circo. (Riproduzione riservata)
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