Papa Benedetto XVI e gli abusi nella Chiesa
È stato Joseph Ratzinger, prima come cardinale e poi come pontefice, a scoperchiare il vaso dell’orrore. Ha indagato le origini del male e ha proposto soluzioni che non gli sono mai state perdonate
La morte del papa emerito Benedetto XVI ha riportato nel dibattito pubblico il tema degli abusi nella Chiesa. Se oggi si conosce lo scandalo il merito è di Joseph Ratzinger, che già da Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha avviato una profonda operazione di trasparenza. Un’operazione che correva su due binari: da un lato riconoscere e punire i responsabili con pene più severe, dall’altro risolvere errori di fondo nel percorso di discernimento vocazionale fatto nei seminari. Alle soglie del Duemila, il cardinal Joseph Ratzinger, amico e fidato collaboratore di papa Giovanni Paolo II, aveva piena consapevolezza degli errori e degli orrori commessi da sacerdoti e religiosi. Il Venerdì Santo del 2005, pochi giorni prima della morte di papa Wojtyla, fu celebrata al Colosseo la Via Crucis con le meditazioni e preghiere del cardinal Ratzinger. La meditazione della nona stazione, quando Gesù cade per la terza volta, scosse le coscienze: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui!».
Un cardinale di 75 anni, che amava gli studi e sperava di tornare presto in Germania per dedicarsi alla ricerca, rompeva ogni diplomazia vaticana con l’approvazione del pontefice. E lo faceva durante la Via Crucis, sigillando così nella sacralità del momento la fotografia del presente. Non erano parole dettate dal caso, le parole di Joseph Ratzinger non lo sono mai state, erano un forse inconsapevole impegno futuro. Un impegno che culminerà, il 19 marzo 2010, nella “Lettera ai cattolici dell’Irlanda”.
Una lettera drammatica, che si apre con: «È con grande preoccupazione che vi scrivo come Pastore della Chiesa universale. Come voi, sono stato profondamente turbato dalle notizie apparse circa l’abuso di ragazzi e giovani vulnerabili da parte di membri della Chiesa in Irlanda, in particolare da sacerdoti e da religiosi». Ma una lettera anche lucida, rivolta al domani, capace di analizzare senza sconti le origini di questo male interno alla Chiesa e di proporre soluzioni concrete. Così infatti scrive papa Benedetto XVI: «Solo esaminando con attenzione i molti elementi che diedero origine alla presente crisi è possibile intraprendere una chiara diagnosi delle sue cause e trovare rimedi efficaci. Certamente, tra i fattori che vi contribuirono possiamo enumerare: procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati; una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali, che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona».
Il pontefice si rivolge alle vittime degli abusi e alle loro famiglie, «avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto. So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata», ma scrive anche ai sacerdoti che hanno abusato di giovani e fragili, «avete tradito la fiducia riposta in voi da giovani innocenti e dai loro genitori. Dovete rispondere di ciò davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali debitamente costituiti. Avete perso la stima della gente dell’Irlanda e rovesciato vergogna e disonore sui vostri confratelli», e si rivolge infine ai vescovi d’Irlanda, «non si può negare che alcuni di voi e dei vostri predecessori avete mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme del diritto canonico codificate da lungo tempo circa i crimini di abusi di ragazzi. Seri errori furono commessi nel trattare le accuse».
Al centro del cammino di purificazione il pontefice mette ancora una volta la preghiera, unico balsamo in grado di curare ferite altrimenti inguaribili. Ma indica anche nuovi percorsi vocazionali, nuove regole per l’accesso ai seminari, denuncia una cultura del relativismo che ha contagiato ogni ambito del reale, anche quello dell’affettività. Così, sorprendentemente, papa Benedetto XVI si ritrova solo di fronte al male.
Le sue parole non sono solo di circostanza, le sue azioni non sono solo promesse, e questo infastidisce ecclesiastici e intellettuali. La stampa mainstream attacca Joseph Ratzinger, tanto che alla fine il discredito per gli abusi cade sulle sue spalle, ovvero sulle spalle di chi si era esposto in prima persona per combattere questa piaga. Papa Benedetto viene lasciato solo dai cardinali e dai sacerdoti e la solitudine cresce negli anni. Quante parrocchie hanno realizzato azioni concrete a supporto della sua operazione di rinnovamento contro gli abusi? Quanti pastori e fedeli hanno espresso sostegno pubblico dopo il discorso di Ratisbona? Quanti intellettuali hanno alzato la voce affinché il Papa non venisse censurato alla Sapienza? Quanti cardinali hanno agito concretamente per impedire che i corvi arrivassero fin nel suo ufficio in Vaticano?
Esiste un legame indissolubile tra la solitudine di papa Benedetto XVI e la sua profonda azione di pulizia interna alla Chiesa. Una solitudine cresciuta durante il suo pontificato, una solitudine che oggi vale come cartina tornasole sulla sincerità di tante manifestazioni di cordoglio. (Riproduzione riservata)
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(Un grazie speciale a Marco, amico e abbonato di Notturno, che ha scattato le foto presenti in questo articolo apposta per la newsletter e la comunità dei lettori)