Perché “fare il giornalista” oggi
Precariato, intimidazioni, pressioni, sfiducia: non è il tempo giusto per fare informazione, eppure mai come oggi c’è bisogno di informazione. La consapevolezza dei cittadini a difesa della democrazia
Il fatto è che “fare il giornalista” non l’ha prescritto il medico. È una scelta che nasce dalla passione per la realtà, dal desiderio di capire qualcosa di più, di indagare ciò che rimane nascosto dietro al velo del quotidiano. Si indaga e si documenta l’oggi con la cronaca, ma il motore sono le domande di senso sulla vita, domande che si riaccendono ogni volta che il taccuino e la penna incontrano storie di meravigliosa o devastata umanità. Diventa poi una professione, attraverso una tra le gavette più dure (e peggio pagate) possibili. Senza alcuna gioia nel rivendicarne il primato, la gavetta giornalistica è la più precaria oggi. Perché le grandi testate giornalistiche affrontano una grave crisi strutturale, nata dall’impatto con la rivoluzione digitale e da altri problemi, come la perduta fiducia dei lettori. Tanti giornalisti, pochi lettori, pochissimi editori.
In questo deserto o si fa il giornalismo vero, quello che ricerca la verità e la diffonde con deontologia e rigore, oppure non ha senso intraprendere questa strada. Ci sono mille altri lavori con meno effetti collaterali e con maggiori benefici. Non è più il tempo delle grandi redazioni popolate da giornalisti assunti con l’articolo 1 del contratto nazionale. Non è più il tempo degli inviati speciali. No, l’Europeo non torna in edicola settimana prossima e non invia più Oriana Fallaci a Saigon.
È il tempo dei reportage realizzati da giornalisti collaboratori esterni, pagati pochi euro lordi a pezzo, mentre le grandi firme abbracciano le scrivanie e innalzano barricate a difesa di un tempo che non ritornerà. È il tempo di una pericolosa commistione tra informazione e comunicazione, è il tempo del giornalismo che fa un passo indietro per lasciare spazio ai cosiddetti “debunker”, osservatori indipendenti che per puro amore della verità censurano le notizie pericolose per l’opinione pubblica e mettono il bollino verde sull’informazione buona (grazie, cari debunker, per la vostra cortese premura).
È tempo di guerra, con i carri armati e con le parole. E in tempo di guerra i primi a morire sono i civili, colpiti dalle bombe, e la verità, schiacciata dalla propaganda. Il taccuino e la penna dei giornalisti servono se promuovono la consapevolezza nei cittadini delle trame del potere. E la consapevolezza dei cittadini è ormai l’ultima difesa rimasta sulle mura del Fosso di Helm. (Riflessioni a margine del convegno online “La democrazia ha bisogno vitale di libertà d’informazione”, organizzato da Libera Alessandria e Archicultura il 27 febbraio 2023 con ospite la squadra di Ossigeno per l’informazione – Riproduzione riservata)
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Grazie Giacomo, condivido ogni parola. Quanto vorrei che la gente s'informasse davvero, non solo dalla propaganda. Ascoltare un tg ti fà capire come vien fatta circolare tanta falsità e la gente ci crede. Io cerco in tutti i modi di condividere articoli con i miei conatti ma non trovo riscontro, poco anche con quelli di casa, anzi mi dicono che perdo tempo, che non serve a niente. Chiaramente non si risolvono i problemi del mondo, ma informarsi serve anche a formarsi una coscienza.