Il giudice e la banalità del male
Robert Peel risponde in ritardo alla richiesta urgente del console italiano sul caso di Indi Gregory e scrive: «Avrà certamente sentito che molto tristemente Indi Gregory è morta domenica notte»
Il 9 novembre 2023 Matteo Corradini, console d’Italia a Manchester, aveva presentato richiesta urgente ai giudici inglesi affinché cedessero la giurisdizione del caso di Indi Gregory ai tribunali italiani. La richiesta, giunta a seguito della cittadinanza italiana conferita dal Consiglio dei ministri il 6 novembre, era fatta ai sensi dell’articolo 9 comma 2 della Convenzione dell’Aja del 1996 e aveva carattere d’urgenza perché la vita della concittadina era in pericolo.
Il 13 novembre il giudice Robert Peel, lo stesso che aveva decretato la morte per Indi quale suo “best interest”, ha risposto al console italiano scrivendo: «Caro signor Corradini, grazie per la sua lettera del 9 novembre in cui, in base all’articolo 9 della Convenzione dell’Aja del 1996, richiede di essere autorizzato a esercitare la giurisdizione allo scopo di fare i passi necessari per trasferire Indi Gregory in Italia. Avrà certamente sentito che molto tristemente Indi Gregory è morta domenica notte/prime ore di lunedì. Il mio pensiero va alla sua famiglia. Date le circostanze, presumo che lei non desideri procedere con la sua richiesta di cui all’articolo 9. In attesa di sue notizie, cordiali saluti» (la lettera è stata diffusa dalla testata La Nuova Bussola Quotidiana).
È un atto di una gravità sconcertante. Da un lato, perché certifica che pur di portare a termine l’eliminazione di Indi Gregory si è deciso deliberatamente di ignorare una richiesta urgente presentata dal console italiano. Dall’altro, perché denota una disumanità aberrante, spiegabile solo con la furia eugenetica di medici e giudici inglesi. Nella sua gravità, questa lettera è lo strappo nel cielo di carta della narrazione dominante: non esiste alcun interesse a tutelare le vite fragili. Anzi, i malati sono un peso, e come tale saranno trattati. Non tanto un peso economico, considerando le ingenti somme spese per portare a termine le battaglie legali contro le famiglie di questi bambini (per giungere all’uccisione di Alfie Evans, l’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool spese oltre 140mila sterline), quanto un peso umano insostenibile. Sono soggetti imperfetti, spiegano medici e giudici inglesi, le loro vite non sono degne di essere vissute.
Il giudice Robert Peel mette nero su bianco cosa ha mosso la sanità e la giustizia in queste settimane di braccio di ferro tra favor vitae e favor mortis. Charlie Gard, Alfie Evans, Pippa Knight, Archie Battersbee, Sudiksha Thirumalesh, Indi Gregory: per loro vengono confermate le parole pronunciate l’11 novembre dal vescovo di Pavia, monsignor Corrado Sanguineti. Questi bambini sono «martiri di una cultura di morte». (Riproduzione riservata)
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