“Italia: come un angelo custode per Indi”
Dean Gregory ringrazia gli italiani: «Siamo davvero fortunati ad avere la vostra passione e il vostro coraggio dalla nostra parte». Oggi verdetto sulla cessione di giurisdizione. Le notizie non date
Gli italiani angeli custodi della piccola Indi Gregory. È forse questa l’immagine più bella mai dedicata al nostro Paese. Bella, anzi bellissima, perché certifica che qui, nelle nostre strade, ci sono ancora persone capaci di riconoscere l’orrore nonostante le sue mille maschere. Ci sono italiani che, di fronte allo strappo nel cielo di carta, si alzano in piedi ed escono dal teatro. Che cosa succede in queste ore attorno a Indi Gregory?
I medici inglesi dicono no a cure sperimentali specifiche per la sua malattia mitocondriale, no alle cure di base (ossigeno, idratazione e nutrizione), no al trasferimento in Italia all’ospedale Bambino Gesù di Roma, no a trascorrere le ultime ore di vita (in caso di interruzione forzata delle cure) a casa nella sua cameretta, circondata dall’affetto dei suoi cari. I medici inglesi dicono solo un sì: morte. E la morte più atroce.
Per dovere di cronaca infatti occorre ricordare che la frase «spegneranno le macchine che la tengono in vita» significa che spegneranno il ventilatore meccanico che la aiuta a respirare. Di lì a poco interromperanno anche l’idratazione e la nutrizione. La morte per Indi Gregory sopraggiungerà così dopo una agonia atroce, trascorsa in una ricerca spasmodica di aria e acqua. I primi bisogni di ogni persona, bisogni che non si negano neanche a chi è detenuto per i crimini più efferati.
Il piccolo Charlie Gard morì dopo poche ore dallo spegnimento del ventilatore meccanico, i genitori lo videro ansimare sempre più a fatica, assumere una sfumatura bluastra in viso e poi morire soffocato. Alfie Evans resistette oltre quaranta ore senza ventilatore meccanico. Anche lui, come Charlie e come Indi, era aggrappato alla vita, stringeva le sue manine attorno alle dita dei suoi genitori e in quella stretta c’era tutta la sua voglia di vivere, amare, sognare. Di continuare a combattere. Di sperare in un miglioramento. Dopo quaranta ore però il suo corpicino ormai debilitato cedette e anche lui morì soffocato tra le braccia dei suoi genitori impotenti. Medici e infermieri assistettero impassibili con un solo compito: evitare che i genitori portassero nella stanza un ventilatore meccanico donato da amici e parenti.
Terri Schindler, Eluana Englaro e Vincent Lambert erano invece pazienti in stato di coscienza minima: respiravano da soli, non c’era alcuna “spina da staccare”, pertanto fu loro tolto il sondino attraverso il quale venivano nutriti. E morirono così dopo giorni d’inferno. Chi scrive seguì i nove giorni di agonia di Vincent Lambert e non li dimenticherà mai. Un uomo, descritto dai media come “malato terminale” e “vegetale”, che pianse quando i genitori disperati gli dissero che avevano perso in tribunale. Che medici e giudici francesi avevano deciso per la sua uccisione. Un uomo che per nove giorni sentì la vita scivolare via dal corpo e cercò aiuto con lo sguardo. Ma la sua camera d’ospedale era piantonata da un imponente servizio di sicurezza: nessuno consentì ai genitori di bagnargli le labbra che si spaccavano per la disidratazione.
Questo c’è dietro alla preoccupazione pelosa per l’accanimento terapeutico, questo c’è dietro alla narrazione dello staccare una spina dal muro. E se il giornalismo non dà queste notizie rinuncia alla propria deontologia: «È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede».
Per dovere di cronaca bisogna aggiungere che i medici dell’ospedale Bambino Gesù di Roma dicono sì al trasferimento in Italia, dicono sì alle cure di base, dicono sì a un protocollo sperimentale che potrebbe portare benefici significativi senza configurarsi come accanimento terapeutico, dicono sì a prendersi cura della piccola Indi Gregory fino alla fine. Ci sarà una guarigione? Non lo possono dire, non lo sanno: con le conoscenze attuali la malattia di Indi è inguaribile. Ma la medicina si evolve, cresce e impara anche prendendosi cura di persone fragili affette da patologie nuove.
Come nei casi di Charlie, Alfie e Vincent, l’Italia sta facendo più di tutti gli altri Paesi messi insieme. E con Indi osa un passo mai tentato prima: ieri, infatti, è stata chiesta la cessione di giurisdizione a un giudice italiano. Richiesta d’urgenza motivata da un obiettivo: salvarle la vita. Non guarirla, salvarla. Giovanni Paolo II ricordava: «Non è possibile costruire il bene comune senza riconoscere e tutelare il diritto alla vita, su cui si fondano e si sviluppano tutti gli altri diritti inalienabili dell'essere umano». Il popolo che in Italia si è alzato in piedi per Indi è tanto vario per storie personali da confermare che l’indisponibilità della vita umana è un valore umano, scritto nella legge naturale. Viene ancora prima del cristianesimo: è profondamente umano custodire l’umano. In questo campo l’Italia è faro di civiltà in un mondo reso buio dalla nuvola del favor mortis.
E gli italiani continueranno a vegliare fino alle 13, quando il giudice Robert Peel si pronuncerà sulla richiesta di cessione della giurisdizione presentata dal console italiano di Manchester, per ribadire che la vita è un bene non disponibile. La medicina cura, non sopprime. Se uno dei più prestigiosi ospedali inglesi seleziona alcune vite come non degne di essere vissute e impone loro la morte, allora bisogna rivedere subito tutte le classifiche. (Riproduzione riservata)
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Caro Giacomo, non trovo parole per questa ennesima tragedia, sembra che stia scomparendo il sentimento umano dalla faccia della terra, però sembra. Un argine a tutto questo male dilagante è veramente l'informazione, quella vera e soprattutto la preghiera. Solo Dio può salvare. Grazie.