La coscienza, primo obiettivo di ogni regime
EDITORIALE Da Giovanni Paolo II la definizione di libertà. E il monito: «Nessuna autorità umana ha il diritto di intervenire nella coscienza di alcun uomo». Le nuove Colonne d’Ercole
«Negare a una persona la piena libertà di coscienza e in particolare la libertà di cercare la verità, o tentare di imporle un particolare modo di comprendere la verità, va contro il suo diritto più intimo». Così Giovanni Paolo II il 1° gennaio 1991, in occasione della XXIV Giornata mondiale della pace. Secondo il pontefice polacco, oggi santo, chi desidera realmente la pace deve rispettare la coscienza di ogni uomo. «Nessuna autorità umana ha il diritto di intervenire nella coscienza di alcun uomo. Questa è il testimone della trascendenza della persona anche nei confronti della società e, come tale, è inviolabile», spiega Giovanni Paolo II, che aggiunge: «Essa, però, non è un assoluto, posto al di sopra della verità e dell'errore; anzi, la sua intima natura implica il rapporto con la verità obiettiva, universale e uguale per tutti, che tutti possono e devono cercare. In questo rapporto con la verità obiettiva la libertà di coscienza trova la sua giustificazione, in quanto condizione necessaria per la ricerca della verità degna dell'uomo e per l'adesione ad essa, quando è stata adeguatamente conosciuta».
È la “Gaudium et spes” a fare luce su questo dialogo fra coscienza, legge naturale e legge divina: «Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore (...). L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore (...). La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria».
Ed è proprio la libertà di coscienza il primo vero obiettivo di ogni regime: nella storia delle dittature, prima della repressione violenta c’è sempre stata una potente propaganda che mirava a silenziare le coscienze, a spegnere qualsiasi dibattito all’interno dell’opinione pubblica. Ogni voce istituzionale doveva aderire alla narrazione dominante, così da creare una monofonia semplice, imitabile. Sono gli slogan più semplici quelli che raggiungono la pancia delle persone e provocano una reazione controllata. Rabbia, paura, indignazione, commozione: quando il potere ha il controllo delle emozioni non ha più bisogno della repressione violenta. E se sceglie di usare la forza può concentrarla solo sulle poche voci dissonanti, che verranno silenziate tra gli applausi della massa.
La coscienza è ciò che distingue l’uomo dalla pedina. La coscienza è ciò che rende cinquemila persone un insieme di persone e non una massa. La coscienza è un nemico pericoloso, perché se rimane sveglia nonostante la propaganda può portare le persone a scegliere ciò che è giusto al posto di ciò che è facile. Può portare le persone a riconoscere l’inganno dietro gli slogan e a rischiare la propria carriera, a volte persino la propria vita, per gridare che esiste un’altra realtà fuori dalla narrazione costruita ad arte. Ma è ancora possibile proporre questi temi nel dibattito pubblico italiano? Se l’uomo è schiacciato in una orizzontalità monodimensionale che non prevede il Cielo e camuffa il precipizio con una scalinata fatta di lustrini, come si può trovare il coraggio di andare oltre le bugie? Se l’hic et nunc rappresenta le moderne Colonne d’Ercole, chi fornirà mai una nave per superarle? (Riproduzione riservata)
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