Un Premio Pulitzer (dei poveri)
Il problema non sono gli insulti, che qualificano più gli autori dei destinatari, ma l’idea di giornalismo che il dibattito pubblico oggi accetta: verifica delle notizie o megafono del potere?
Anni fa, quando lavoravo per un quotidiano locale, mi capitò di avere qualche problema con “il potere”. Come cronista di bianca mi era stata affidata (assieme ad altri colleghi, io però ero il più giovane e l’unico non a tempo indeterminato) la cura di alcune pagine ideate dal mio direttore come lente d’ingrandimento sul “microlocal”. Vi si potevano trovare le notizie apparentemente più piccole (come un albero pericolante vicino a un incrocio pericoloso), che a volte nascondevano dietro di sé problemi ben più grandi (come problemi di appalti fra Comune e cooperative che gestivano il verde pubblico).
Per riempire ogni giorno quelle pagine era necessario trascorrere le giornate in giro per i quartieri della città, parlando con residenti e negozianti, osservando ciò che non funzionava. Si partecipava all’inaugurazione di un nuovo parco giochi, ad esempio, dando ampio spazio all’amministrazione comunale, ma un paio di mesi dopo si tornava in quella zona e si verificavano le condizioni del parco: se dopo l’inaugurazione non vi era stata alcuna manutenzione, lo si scriveva. Si dava ampio spazio alla decisione di rivoluzionare la viabilità su un’importante strada del centro storico, con intervista in prima pagina all’assessore competente che ne spiegava i benefici previsti. Poi però al mattino presto ci si appostava lì, proprio su quella strada, e si scattavano foto, si intervistavano i passanti, si riportava ogni dettaglio significativo. Voce al Comune, voce ai cittadini.
A volte le due voci non combaciavano, anzi, per questo i reportage iniziarono ad essere mal digeriti da alcuni membri della giunta, fino a quando il più stretto collaboratore del sindaco scrisse al mio direttore di allora per lamentarsi del mio operato, chiedendo (neanche troppo implicitamente) che io venissi rimosso dall’incarico. Ricordo come fosse ieri il direttore che piomba in redazione e, ad alta voce, dice: «Bertoni, nel mio ufficio». Mi mostrò la mail nella quale si criticava il mio lavoro, mi chiese risposte in merito a ogni lamentela lì esposta, poi disse: «Continua a fare il tuo lavoro, il giornalista deve preoccuparsi se arrivano troppi complimenti dal potere».
Da quel momento l’autore della mail non solo non rispose più alle mie telefonate, ma riuscì anche a convincere alcuni assessori e dirigenti a non concedermi più interviste. Un problema non di poco conto per un giornalista che deve fare cronaca locale, eppure mai mancò il sostegno del mio direttore, che aveva in mente un giornale capace di fare cronaca e critica senza curarsi troppo dei mal di pancia procurati ai potenti di turno.
Quando faceva le riunioni di redazione, alle quali voleva che partecipassero anche i redattori e i praticanti, non solo il caporedattore e i capiservizio, il direttore chiedeva informazioni sul processo di verifica delle notizie, non sui fondi o sulla pubblicità che il giornale avrebbe potuto perdere pubblicando quelle notizie. Di fronte ad alcune notizie scomode approvate dal direttore, il mio caposervizio spesso aggiungeva: «Se pubblichiamo questa cosa domani devo tenere il telefono staccato». Poi però le impaginava in apertura, con civetta in prima.
Perché questo lungo excursus storico? Perché quando stamattina ho trovato il tweet nel quale Roberto Burioni, professore ordinario di Microbiologia e Virologia all’università Vita-Salute San Raffaele, mi dà del cretino, non ho potuto fare a meno di ripensare a quell’idea di giornalismo così impolverata eppure così vitale. Il giornalista che si mette tra la fonte e il lettore, per verificare le informazioni e comprendere così se si tratta di notizie o di qualcos’altro.
Negli ultimi due anni il giornalismo è stato in grado di porsi come filtro autorevole, o si è concesso come megafono al potere? Ha verificato quanto detto da esperti, spesso autoproclamatisi tali, oppure ha usato le loro contraddittorie affermazioni per la caccia all’ultimo clic o all’ultima copia venduta (a giudicare dai dati, e dalle edicole che ogni giorno chiudono, la caccia sta andando male)? O, peggio ancora, ha sfruttato queste dichiarazioni per rilanciare una narrazione dominante pensata e promossa direttamente dal potere?
Chi segue questa newsletter lo sa: qui sono state raccolte decine e decine di domande, che non hanno mai trovato posto nel dibattito pubblico italiano. Un dibattito spesso manipolato e ipersemplificato, ridotto ai minimi termini grazie a etichette e slogan tipici più del marketing che della scienza. Allora sì, se un giornalista fa domande è un cretino. Ne prendiamo atto. Il problema è che gli insulti passano, ma le domande senza risposta restano. (Riproduzione riservata)
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Provate a chiedere a Burioni (mi ha bloccato) che ne pensa di queste dichiarazioni:
Massimo Galli, professore di Malattie Infettive ormai in pensione, è da inizio pandemia in prima linea nel dibattito legato al Covid-19 in Italia. L’esperto si è raccontato sulle pagine di Panorama, parlando anche della sua esperienza personale: “Ho avuto il Covid ma non di recente. Ho avuto un episodio acuto di Covid-19 a gennaio, nonostante tre vaccinazioni. Purtroppo mi sto portando dietro un discreto affaticamento che prima non avevo. A questo punto ho quello che sembra essere il long Covid con dolori muscolari diffusi”.
Il long Covid porta anche a problemi di memoria. Il medico spiega: “Molte persone hanno una riduzione della memoria e della concentrazione che però non sono quasi mai drastiche. Viene definita “brain fog”, nebbia cerebrale. Ci sono poi sindromi cardiache e sintomi dermatologici, di solito compaiono a mani e a piedi con sensazioni di arrossamento e bruciori simili ai geloni da freddo. Altre persone invece sviluppano fastidi e bruciori alla cassa toracica. Ci sono così tanti sintomi che viene il dubbio se considerare tutto ciò come long Covid. Alcuni di questi potrebbero essere stati innescati dalle vaccinazioni. Sulle base dei dati che potevano essere disponibili, molte di queste sintomatologie sembravano fenomeni psicosomatici. Ora che pure io sono direttamente coinvolto, devo riconsiderare alcune convinzioni”.
https://www.ilsussidiario.net/news/galli-ho-il-long-covid-sto-male-da-5-mesi-noi-medici-siamo-preoccupati-da-tempo/2355610/amp/
Certi insulti vanno portati come medaglie al valore