Anno 2020, sospendere le Messe fu un errore
EDITORIALE Cinque anni dopo la decisione inedita il patto sociale è distrutto e i diritti fondamentali dei cittadini sono indeboliti: per ricostruire servono i fatti, non gli slogan. Una rettifica
Sono passati quasi cinque anni dall’annuncio della pandemia, l’emergenza è un brutto ricordo e la lucidità ritrovata impone di togliere il velo del politicamente corretto dal dibattito pubblico: sospendere le Messe con concorso di popolo è stato un errore. Non si è salvata nessuna vita impedendo alle persone di partecipare all’Eucarestia, in compenso si è fiaccata la resistenza spirituale, si sono ridotte le occasioni di incontro e confronto, si è negata la prospettiva cristiana dell’esperienza del dolore e della morte. Questo editoriale d’inizio 2025 risponde a un dovere di coscienza: rendere conto ai lettori della cronaca e della critica offerte. Nel 2020, analizzando la decisione di sospendere le Messe con concorso di popolo, sostenni il provvedimento e scrissi: «I cristiani sanno cosa significa unire fede e ragione, i cristiani sanno che cosa vuol dire impegnarsi per il bene comune, i cristiani sanno che obbedire è meglio. E l’obbedienza che salva non è mai comoda, come in questo caso, perché comporta un sacrificio inimmaginabile. I cristiani, con la rinuncia e la fiducia nei loro pastori, con la preghiera estesa a tutte le persone che soffrono per il coronavirus, stanno dimostrando di essere luce del mondo e sale della Terra». Ebbene, mi sbagliavo.

Torniamo per un attimo a domenica 23 febbraio 2020: le informazioni sul nuovo virus correvano veloci, la paura cresceva, amministrazioni locali e governo iniziavano a imporre le prime restrizioni alla libera circolazione e alle occasioni di ritrovo. Arrivò la richiesta di sospendere le Messe, viste come assembramenti più pericolosi dei centri commerciali. In via prudenziale, pur con dibattiti interni, la Conferenza episcopale lombarda sospese le celebrazioni con concorso di popolo. Fui tra i primi a darne notizia, compresi subito che si trattava di un “colpo” da prima pagina: persino durante la peste del 1630 si era continuato a celebrare, a pregare insieme, il morbo del 2020 era dunque peggiore di quello del ‘600?
Ciò che non compresi altrettanto velocemente, però, furono le implicazioni di questa notizia da prima pagina: per la prima volta si limitava il diritto alla libertà religiosa. Un diritto cardine di ogni democrazia sana, un diritto strettamente connesso alla libertà di coscienza. La paura per la salute era così grande, le informazioni che si rincorrevano e chiedevano verifiche erano così tante (si viveva in piena infodemia), che sfuggiva la gravità del contesto. Privare i cittadini della possibilità di celebrare insieme la Messa ha significato moltiplicare la paura. Ha significato togliere la cosa più importante che c’è nei momenti di crisi: la speranza. L’idea che il reale non sia tutto qui, che l’uomo non è il padrone assoluto della vita, che esiste una legge naturale che sovrasta le leggi degli Stati, che ogni persona conserva in sé una dimensione sociale e una religiosa, che il dolore e la sofferenza hanno un senso, che alla medicina si chiede di prendersi cura e non di manipolare la vita, che alla politica si chiede di custodire i diritti fondamentali dei cittadini e non di restringerli.
Certo che l’obbedienza salva, questo è un aspetto che i cristiani conoscono bene, ma salva se si obbedisce a ordini giusti, orientati al Bene. Salva se comporta la rinuncia personale a qualcosa di prezioso in vista di un Bene più grande. L’obbedienza a ordini ingiusti è conformismo, è quieto vivere, è terreno fecondo per la nascita dei regimi. I vescovi lombardi (i primi spinti dalle autorità civili ad agire) sono intervenuti in buona fede, hanno lavorato da subito per trovare alternative e si sono battuti perché la riapertura avvenisse il prima possibile, ma quei portoni chiusi hanno comunque creato un precedente. Anche per questo è necessario fare chiarezza.
La libertà religiosa è un diritto fondamentale ed è proprio nei momenti di emergenza che i diritti fondamentali vanno promossi, è proprio quando tutte le certezze vacillano che bisogna aggrapparsi ai pilastri: la vita come bene indisponibile, la libertà di coscienza, la libertà di stampa e di espressione, il diritto alla salute, il diritto al lavoro. In Italia ai cittadini viene impedito di recarsi nelle chiese per la Messa: cosa comporta questo divieto? Quali ripercussioni, anche indirette, ha sull’opinione pubblica? Quale immagine restituisce della fede? Giornalisticamente è stato un errore non porre da subito queste domande. Allora perché parlarne oggi?
Il giornalista «rettifica, anche in assenza di specifica richiesta, con tempestività e appropriato rilievo, le informazioni che dopo la loro diffusione si siano rivelate inesatte o errate». Se la cronaca fatta in quei momenti concitati risulta aderente alla «verità sostanziale dei fatti», la critica richiede invece oggi una nuova riflessione. Ci sono diritti che uno Stato democratico non può sospendere, e il giornalista «difende il diritto all’informazione e la libertà di opinione di ogni persona».
La sospensione delle Messe con fedeli è stata una prima erosione delle libertà fondamentali del singolo in nome di un fantomatico bene collettivo, ma non esiste alcun bene collettivo senza il rispetto dei diritti fondamentali del singolo. Va dato atto a La Nuova Bussola Quotidiana di essere stata l’unica testata giornalistica italiana ad aver riconosciuto in quello stop alle Messe un primo segnale d’allarme, ignorato anche dal sottoscritto. Senza accuse, senza nuove divisioni, senza le scintille del conflitto orizzontale, urge però ricostruire un patto sociale gravemente lesionato. E per farlo servono i fatti, serve la cronaca. Serve un terreno comune sul quale tutti possano camminare sereni, serve riconoscere gli errori per non ripeterli.
Ricordando le parole di papa Benedetto XVI: «Chi gode di maggiore potere politico, tecnologico, economico, non può avvalersene per violare i diritti degli altri meno fortunati. È infatti sul rispetto dei diritti di tutti che si fonda la pace. Consapevole di ciò, la Chiesa si fa paladina dei diritti fondamentali di ogni persona. In particolare, essa rivendica il rispetto della vita e della libertà religiosa di ciascuno. Il rispetto del diritto alla vita in ogni sua fase stabilisce un punto fermo di decisiva importanza: la vita è un dono di cui il soggetto non ha la completa disponibilità». (Riproduzione riservata)
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Un doveroso omaggio ai Missionari della nuova era
Grazie
Giovanni