DSA, preoccupazione per la libertà di stampa
FOCUS Il nuovo regolamento UE strumento per tutelare «i bambini, le società e le democrazie»? Concede ai giganti del web la possibilità di censurare qualsiasi contenuto "scomodo"
Il 25 agosto 2023 è entrato in vigore il Digital Service Act (DSA), nuovo regolamento UE presentato all’opinione pubblica come strumento per fermare gli abusi nel mondo digitale e tutelare così gli utenti europei. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha spiegato che il DSA mira a «proteggere i nostri bambini, le nostre società e le nostre democrazie». Tra gli obiettivi raccontati alla stampa vi sono il contrasto alle truffe online, la promozione della trasparenza, la diminuzione della profilazione. Alessandro Longo sul Sole 24 Ore scrive: «Avremo fra poco più diritti da esercitare nei confronti dei social network. In generale, arriva un'era di maggiore controllo e trasparenza, da parte degli utenti, e finisce l'era del potere assoluto delle big tech sui propri servizi». SkyTg24 aggiunge: «Le piattaforme devono impegnarsi di più per contrastare i contenuti illegali, i bot e le fake news. Giganti come Google, Microsoft, Apple, YouTube, Amazon, Facebook, TikTok, Instagram o X dovranno, ad esempio, fornire strumenti agli utenti per segnalare in modo facile i contenuti illegali, dando la precedenza alle segnalazioni provenienti dai soggetti più autorevoli». Dunque, i rappresentanti delle istituzioni europee e i giganti del web si sono seduti a un tavolo e hanno deciso insieme di mettere al centro la sicurezza e la libertà dei cittadini europei. E insieme vigileranno per proteggere i bambini, le società e le democrazie.
L’ARRIVO DEI DEBUNKER – Durante l’emergenza covid-19, come ricorda un articolo di Gabriele Porro su Wired del 3 aprile 2020, Google «ha deciso di finanziare la lotta alla disinformazione legata al coronavirus investendo 6,5 milioni di dollari in fact-checker e organizzazioni no profit». Una squadra di debunker che negli ultimi tre anni ha scandagliato il web per smentire le informazioni false sul virus e sulla campagna “vaccinale”. Anche l'UE «ha incoraggiato le piattaforme online a contribuire alla lotta contro le notizie false e altri tentativi di disinformazione rimuovendo i contenuti illegali o falsi». Nel calderone delle notizie definite “false” dai fact-checker sono finiti sia i tweet anonimi del genere “tutti i vaccinati moriranno entro 365 giorni dall’inoculazione” (contenuti che non meritano neanche l’appellativo di “bufale”), sia gli articoli di giornalisti che davano conto dei problemi etici e medici dei farmaci sperimentali anti covid. Quanto ha influito questo sul consenso “libero e informato” dei cittadini? Quanto ha contribuito a far esplodere il conflitto orizzontale? Ogni notizia estranea alla narrazione dominante è stata automaticamente etichettata come “fake news”, “disinformazione”, “teoria complottista”. Per questo è stata censurata sui social e ne è stata ridotta la visibilità sui motori di ricerca. Un esempio su tutti? L’analisi fatta da Il Tempo di Franco Bechis sui bollettini dell’Iss per mostrare che il covid era stato la causa effettiva di morte solo per una piccola percentuale (anziana e fragile) dei deceduti positivi. Notizia smentita, giornalista censurato, mesi dopo ogni accusa di disinformazione è (ovviamente) caduta.
CHI CONTROLLA I CONTROLLORI – Con il nuovo regolamento europeo il potere obbliga i giganti del web a rimuovere qualsiasi contenuto giudicato pericoloso o disinformante. E chi giudica? E chi vigila sui giudici? L’atteggiamento della politica e dei giganti del web non regala speranze: il Digital Service Act può diventare lo strumento per censurare non tanto le informazioni false e le bufale, quanto le notizie scomode. Le informazioni false vanno smentite con le notizie, non vanno censurate. E le notizie devono essere date sempre, anche quando sono scomode. Sia che risultino scomode al sindaco di un piccolo comune, sia che risultino scomode a una multinazionale. Non vi è nulla di retorico né tantomeno di eroico in questo, è semplicemente l’essenza del giornalismo. Il giornalismo o è ricerca della verità o non è.
LA DEONTOLOGIA GIORNALISTICA – Non a caso la deontologia professionale afferma: «È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede». E ancora: «Il giornalista difende il diritto all’informazione e la libertà di opinione di ogni persona; per questo ricerca, raccoglie, elabora e diffonde con la maggiore accuratezza possibile ogni dato o notizia di pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti». E ancora: «Il giornalista accetta indicazioni e direttive soltanto dalle gerarchie redazionali, purché le disposizioni non siano contrarie alla legge professionale, al Contratto nazionale di lavoro e alla deontologia professionale». Il giornalista può opporsi anche al proprio direttore se riceve un ordine contrario alla deontologia professionale.
NUOVI POSSIBILI BAVAGLI – L’idea che i giganti del web abbiano nuove armi a disposizione per manovrare il flusso di informazioni e notizie che circolano in rete preoccupa. E preoccupa ancora di più alla luce della narrazione dominante imposta durante la pandemia, durante la quale nessun debunker ha criticato chi utilizzava impropriamente i termini “vaccini”, “immunizzazione”, no vax”, e l’elenco potrebbe continuare per due pagine. Sarà un problema di lenti, ma l’era di maggiore trasparenza non si vede all’orizzonte. (Riproduzione riservata)
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Il problema esposto nella prima parte dell'articolo è certo rilevante (penso soprattutto a tematiche che hanno una ricaduta sugli orientamenti elettorali). Non mi pare, però, pertinente il richiamo alla deontologia giornalistica, riferito ai social. Per quel che osservo da erratico frequentatore di Facebook, infatti, gran parte dei post per i quali si pone un problema di "verità" dei contenuti, non sono redatti da giornalisti.
Buttò lì 2 idee: potrebbe essere imposto alle piattaforme l'obbligo di segnalare quando post apparentemente "professionali" in realtà non sono redatti da giornalisti, o lo sono da parte di giornalisti non soggetti a efficaci obblighi deontologici?
Potrebbero essere coinvolti gli ordini in una sorta di procedura di accertamento della veridicità di un post, in caso di suo oscuramento o rimozione da parte della.piattaforma?
Cordialmente, Nicola