Francesco e i due Papi
È morto all’età di 88 anni il pontefice argentino, descritto dalla stampa come «il rivoluzionario disprezzato dai conservatori». Impossibile per i media raccontare la Chiesa senza etichette stantie
Credenti e non credenti di tutto il mondo oggi in lutto per papa Francesco, che torna alla Casa del Padre a 88 anni, dopo dodici anni di pontificato. Jorge Mario Bergoglio è stato il Papa del «Buonasera», il Papa del «Ricordatevi di pregare per me», il Papa che comunicava senza filtri. Eppure, nonostante tanta eco mediatica, il mondo ha conosciuto due Papi: il papa Francesco reale e il papa Francesco mediatico. La stampa ha un brutto vizio: etichettare, porsi di fronte a un fatto pensando prima al titolo e poi al testo dell’articolo. Con papa Benedetto XVI la linea editoriale è stata semplice: grande studioso, intellettuale, tedesco, solitario, conservatore, rigido. Così era Benedetto XVI lontano dalle telecamere, così era Benedetto XVI quando parlava dal soglio pontificio. Con papa Francesco è stato complesso scegliere le etichette, perché il pontefice argentino ha più volte cambiato le carte in tavola. Applaudito dalle grandi firme per una dichiarazione considerata “progressista”, veniva poi prontamente silenziato da quelle stesse grandi firme quando difendeva i principi non negoziabili.
Come disse Costanza Miriano, giornalista di Rai Vaticano, per papa Francesco i media hanno usato arbitrariamente la manopola del volume: quando diceva qualcosa di inseribile nella narrazione dominante il volume cresceva, quando scardinava gli slogan del politicamente corretto l’audio si interrompeva. Questa narrazione ha spaccato opinione pubblica e, ancor di più, credenti, creando un conflitto orizzontale doloroso. Si sono combattute battaglie per un titolo di giornale, per un discorso letto a metà, per un’intervista a braccio alla quale è stata data la stessa importanza riservata a un’enciclica.
In questi dodici anni di pontificato le grandi testate giornalistiche hanno mostrato spesso malafede e superficialità, sacrificando la deontologia in nome di un’ideologia. Quanti discorsi pieni di attenzione alla vita sono stati tralasciati? Quante parole preziose spese da papa Francesco in favore dei più fragili sono state coperte da un caos manipolato e manipolante? È bello rileggere oggi il messaggio per il Giubileo degli ammalati e delle persone disabili del 12 giugno 2016: «La natura umana, ferita dal peccato, porta inscritta in sé la realtà del limite. Conosciamo l’obiezione che, soprattutto in questi tempi, viene mossa davanti a un’esistenza segnata da forti limitazioni fisiche. Si ritiene che una persona malata o disabile non possa essere felice, perché incapace di realizzare lo stile di vita imposto dalla cultura del piacere e del divertimento. Nell’epoca in cui una certa cura del corpo è divenuta mito di massa e dunque affare economico, ciò che è imperfetto deve essere oscurato, perché attenta alla felicità e alla serenità dei privilegiati e mette in crisi il modello dominante. Meglio tenere queste persone separate, in qualche “recinto” – magari dorato – o nelle “riserve” del pietismo e dell’assistenzialismo, perché non intralcino il ritmo del falso benessere – diceva papa Francesco –. In alcuni casi, addirittura, si sostiene che è meglio sbarazzarsene quanto prima, perché diventano un peso economico insostenibile in un tempo di crisi. Ma, in realtà, quale illusione vive l’uomo di oggi quando chiude gli occhi davanti alla malattia e alla disabilità! Egli non comprende il vero senso della vita, che comporta anche l’accettazione della sofferenza e del limite. Il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente “perfette”, per non dire “truccate”, ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto. Come sono vere le parole dell’apostolo: “Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti” (1 Cor 1,27)!».
Il mondo vive tempi difficili, la Chiesa e l’uomo devono affrontare combattimenti che non pare esagerato definire escatologici. Le rivoluzionarie e sconvolgenti dimissioni di papa Benedetto XVI, a conferma di quanto poco le grandi firme avessero capito questo pontefice, hanno aperto una strada nuova, per la quale non esistono mappe, indicazioni, percorsi consigliati. Di fronte alla morte di papa Francesco i giornali tentano ancora una volta la strada del conflitto orizzontale, riesumando categorie (quali “conservatori” e “progressisti”) che mai hanno capito e che mai sono servite a spiegare ciò che avveniva in Vaticano. In questo marasma nel quale persino alcune lacrime paiono telecomandate, i credenti scelgono la strada del silenzio e della preghiera. La preghiera per accompagnare l’anima del pontefice defunto, la preghiera per invocare lo Spirito Santo sui cardinali convocati al nuovo conclave, la preghiera per la Chiesa che inizia oggi la delicata fase della sede vacante.
Uno dei temi chiave del pontificato di papa Francesco è stata la denuncia della “cultura dello scarto”, ideologia che (s)valuta le persone in base alla produttività, alla forza, alla bellezza e alla ricchezza, per scartare (mediante emarginazione, aborto o eutanasia) chi non è giudicato degno di far parte della società. Il 18 maggio 2017, incontrando i malati di Corea di Huntington e i loro familiari, papa Francesco si rivolse anche agli scienziati e disse: «Sono qui presenti genetisti e scienziati che da tempo, senza lesinare energie, si dedicano allo studio e alla ricerca di una terapia per la malattia di Huntington. È evidente che sul vostro lavoro c’è uno sguardo carico di attesa: dai vostri sforzi dipende la speranza di poter trovare la via per la guarigione definitiva dalla malattia, ma anche per il miglioramento delle condizioni di vita di questi fratelli e per l’accompagnamento, soprattutto nelle delicate fasi della diagnosi, di fronte all’insorgenza dei primi sintomi. Che il Signore benedica il vostro impegno! Vi incoraggio a perseguirlo sempre con mezzi che non contribuiscono ad alimentare quella “cultura dello scarto” che talora si insinua anche nel mondo della ricerca scientifica. Alcuni filoni di ricerca, infatti, utilizzano embrioni umani causando inevitabilmente la loro distruzione. Ma sappiamo che nessuna finalità, anche in sé stessa nobile, come la previsione di una utilità per la scienza, per altri esseri umani o per la società, può giustificare la distruzione di embrioni umani».
Il papa Francesco reale ha parlato spesso degli ultimi, in particolare dei più indifesi come i bambini non nati e i malati inguaribili, il papa Francesco mediatico è apparso legato a un’interpretazione ideologicamente esclusiva di “ultimi”. Andare oltre le ipersemplificazioni è un dovere per tutti, credenti e non. (Riproduzione riservata)
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