Chiesa e ricerca scientifica, la profezia che manca
EDITORIALE L’emergenza covid sembra aver normalizzato l’utilizzo di linee cellulari da feti abortiti per i farmaci, ma questa pratica comporta gravi problemi etici. La misteriosa autocensura
A settembre è partita la campagna d'inoculazione dei farmaci anti covid per la stagione autunnale e invernale 2024/2025. L'Istituto Superiore di Sanità spiega che è «possibile la somministrazione concomitante (o a distanza di tempo, prima o dopo) dei nuovi vaccini aggiornati con altri vaccini, incluso il vaccino antinfluenzale, e compresi i vaccini vivi attenuati». A disposizione dei cittadini contro il covid c'è il farmaco a mRNA Comirnaty (Pfizer-BioNTech), che risulta indicato a partire dai 6 mesi di età. Offerto attivamente alle persone fragili (comprese le persone affette da malattie dell’apparato cardiocircolatorio), questo prodotto farmaceutico è gratuito per chiunque desideri riceverlo (anche in gravidanza e durante l'allattamento). Dall'inizio della campagna “vaccinale” (27 dicembre 2020) a oggi, un silenzio assordante circonda i problemi etici dei preparati anti covid, e il primo mutismo è quello della Chiesa.
La sintesi dei fatti: i farmaci sperimentali anti covid sono legati all'aborto, poiché utilizzano linee cellulari da feti abortiti per le fasi di sperimentazione (Pfizer e Moderna) o anche per le fasi di produzione (AstraZeneca e Johnson & Johnson). Milioni di persone nel mondo nel 2021/2022 hanno detto “no” ai farmaci sperimentali anti covid per i loro problemi etici, prima ancora che per i loro problemi medici. La posizione della Chiesa in tema di aborto e sperimentazione sugli embrioni è sempre stata netta: obiezione di coscienza non solo lecita ma doverosa a fronte di una ricerca scientifica priva di limiti etici e dunque non votata al bene comune.
Il 21 dicembre 2020 viene pubblicata la “Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-Covid-19”, che condanna l'utilizzo di linee cellulari da feti abortiti, ma afferma anche che: «È moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti-Covid-19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti nel loro processo di ricerca e produzione». La Nota dà però un “sì” condizionato: è moralmente accettabile se non sono presenti sul mercato altre terapie etiche, se la condizione emergenziale è tale che in assenza di vaccino la persona rischia la morte, se si manifesta la disapprovazione rispetto all'utilizzo di tessuti fetali e si fa pressione affinché le case farmaceutiche spostino ricerca e produzione verso preparati etici.
Questo “sì” condizionato si basa sul concetto di “cooperazione remota” al male: le linee cellulari provengono da aborti fatti alcuni decenni fa, dunque l'azione malvagia non è compiuta né dal medico “vaccinatore” né dal paziente, tutto ciò unito alla grave emergenza rende l'accettazione di questi farmaci un male minore rispetto al pericolo di morte certa per milioni di persone.
La Nota è stata da subito molto discussa, dentro e fuori la Chiesa, perché rende parzialmente disponibile un principio non disponibile quale è la vita. I «principi non negoziabili», per usare un’espressione cara a papa Benedetto XVI, sono tali perché rimangono immutabili anche in caso di emergenza. Per questo sono garanzia di democrazia per il cittadino (e di salvezza eterna per il credente), per questo hanno un valore non solo teologico ma sociale: la vita del più fragile, come il bambino non nato, non può essere mai violata. Né in tempo di pace né in tempo di guerra, né in tempo di abbondanza né in tempo di carestia, né per odio né per promessa di fantomatici benefici collettivi.
La Nota del 21 dicembre 2020 ha dato dunque un'approvazione discussa, non priva di gravi implicazioni etiche, ma soprattutto condizionata. Passata la grave emergenza che significava morte certa in assenza di vaccinazione (altro aspetto alquanto discutibile), e superata la totale assenza di alternative etiche (in realtà da subito erano presenti le terapie domiciliari, nonostante la linea dura del Ministero della Salute in favore del protocollo “paracetamolo e vigile attesa”), la Nota avrebbe dovuto perdere la propria ragion d'essere. Ciò non è avvenuto.
La stampa ha presentato il documento come il via libera definitivo della Chiesa all'utilizzo di linee cellulari da feti abortiti, salvo poi tacciare di complottismo chiunque affrontasse il tema dei problemi etici. E il videomessaggio di papa Francesco datato 18 agosto 2021 (le sue parole: «Vaccinarsi, con vaccini autorizzati dalle autorità competenti, è un atto di amore. E contribuire a far sì che la maggior parte della gente si vaccini è un atto di amore. (…) Vaccinarci è un modo semplice ma profondo di promuovere il bene comune e di prenderci cura gli uni degli altri, specialmente dei più vulnerabili») ha rotto poi ogni indugio in favore delle case farmaceutiche, spingendo anche vescovi e sacerdoti (soprattutto italiani) a rilanciare la narrazione dominante con lo slogan: «Il vaccino è un atto d'amore».
L'utilizzo di linee cellulari da feti abortiti solleva numerose questioni etiche: quale bene comune persegue una casa farmaceutica che accetta di manipolare la vita? Nella migliore delle ipotesi, infatti, si tratta di linee cellulari prelevate da bambini abortiti tra gli anni '60 e '70, immortalizzate poi in laboratorio. Nella peggiore delle ipotesi, suffragata da alcuni scandali legati a Planned Parenthood, esiste invece un mercato dei tessuti fetali da milioni di dollari. Un mercato che sembra partire nelle cliniche dove si praticano gli aborti per arrivare poi nei centri di ricerca e nei colossi della farmaceutica e della cosmetica. E il tutto si svolgerebbe sotto gli occhi distratti degli enti regolatori (in primis la Food and Drug Administration).
Se l'utilizzo di linee cellulari da feti abortiti solleva problemi scientifici, medici e sociali, è però vero che spetta alla Chiesa l'onore e l'onere di essere voce morale nel dibattito pubblico. E questa voce non può tacere proprio adesso. Il risultato del silenzio infatti non è solo la condanna all'irrilevanza, bensì la perdita per tutti di un'indicazione votata al bene e svincolata da interessi economici e di potere. Credenti o no, cristiani o no, tutti i cittadini hanno vantaggio a vivere in uno Stato che riconosce l’indisponibilità della vita umana e che opera in favor vitae. E la Chiesa è sempre stata profetica sul tema, offrendo discernimento tra progresso scientifico (che non è progresso se non rispetta la vita) e spinte verso una ricerca che manipola la vita e trasforma lo scienziato in apprendista stregone e il paziente in cavia.
Il 12 novembre 2011 papa Benedetto XVI, incontrando i partecipanti al Convegno internazionale promosso dal Pontificio consiglio per la cultura, disse: «Quanti difendono la ricerca sulle cellule staminali embrionali nella speranza di raggiungere tale risultato (combattere le malattie degenerative N.d.R.) compiono il grave errore di negare il diritto inalienabile alla vita di tutti gli esseri umani dal momento del concepimento fino alla morte naturale. La distruzione perfino di una sola vita umana non si può mai giustificare nei termini del beneficio che ne potrebbe presumibilmente conseguire per un’altra».
Il 18 maggio 2017, incontrando i malati di "Còrea di Huntington", papa Francesco invitò il mondo della ricerca a non alimentare la “cultura dello scarto”: «Alcuni filoni di ricerca utilizzano embrioni umani causando inevitabilmente la loro distruzione. Ma sappiamo che nessuna finalità, anche in sé stessa nobile, come la previsione di una utilità per la scienza, per altri esseri umani o per la società, può giustificare la distruzione di embrioni umani». Cos’è successo il 21 dicembre 2020? (Riproduzione riservata)
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