Giornata della Memoria: “La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia”
Il 27 gennaio si ricorda l’orrore dell’Olocausto non come sterile ripasso di nozioni impolverate, ma come monito per il presente: il Male non è stato sconfitto per sempre, vigilare e discernere
«Ricordare per non ripetere». Sabato 27 gennaio 2024 si celebra la Giornata della Memoria, iniziativa internazionale per non dimenticare l’orrore della Shoah. La ricorrenza è stata fissata dalla risoluzione 60/7 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005. La data scelta è quella del 27 gennaio perché il 27 gennaio del 1945 l’Armata Rossa varcò i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz e scrisse la parola fine sull’orrore che lì si stava consumando. Da quel momento il mondo non poté più volgere lo sguardo dall’altra parte e dovette fare i conti con l’Olocausto, con la manifestazione plastica di un potere disumano. I campi di concentramento, l’Aktion-T4, la soppressione di ogni libertà (personale, religiosa, di stampa, di espressione), la propaganda: il volto della dittatura nazista mostrava al mondo il proprio ghigno demoniaco.
Celebrare oggi la Giornata della Memoria però non significa solo rileggere le pagine della storia moderna: conoscere gli eventi che hanno insanguinato la Germania con Adolf Hitler al potere è condizione essenziale ma non sufficiente a restituire il senso pieno del 27 gennaio. La Giornata della Memoria è una data fastidiosa, scomoda, perché ricorda ai cittadini del 2024 che l’orrore può ripetersi. Parlare della dittatura nazista serve a tenere allenati gli anticorpi della democrazia. Il Male torna sempre, ma non indossa mai la stessa maschera: la nuova dittatura non sorgerà con un uomo basso e baffuto che darà alle stampe una nuova edizione del Mein Kampf. La nuova dittatura non porterà alla riapertura dei campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau. La nuova dittatura non parlerà di “seconda soluzione finale”.
La nuova dittatura avrà però alcune caratteristiche in comune con l’incubo nazista: uno o più leader con la brama di controllo assoluto, anche sulla vita e sulla morte, la cancellazione dei diritti fondamentali delle persone, la classificazione delle vite tra quelle degne e quelle non degne di essere vissute, la sostituzione della religione con il culto dell’ideologia, la censura della stampa e l’onnipresenza della propaganda. E la Storia insegna che durante l’ascesa di un nuovo regime non sempre gli allarmi democratici suonano in tempo. Non sempre la stampa dà notizia del pericolo, non sempre la classe intellettuale riconosce i segnali, non sempre la scuola attiva i meccanismi di autodifesa, non sempre la Chiesa alza la voce a tutela dell’umano.
È una situazione disperante? Sì, ma solo se guardata in una prospettiva orizzontale, che è la prospettiva imposta dal potere. L’ultima parola non è del Male e la prima resistenza è la promozione dell’umano: il riconoscimento dell’inviolabilità della vita umana è il primo scudo da fissare nel terreno davanti al potere. Il 27 gennaio in tutto il mondo sono in programma convegni, concerti, manifestazioni per la Giornata della Memoria: bisogna viverli con la preghiera per il passato e la veglia per il presente. Il Male non è stato sconfitto per sempre il 27 gennaio del 1945, ha vagato nel mondo e ancora cerca un pertugio per irrompere nuovamente nella Storia.
Primo Levi, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1944 e sopravvissuto all’Olocausto, scriveva: «Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. Se ne descrivono i segni: il disconoscimento della solidarietà umana, l’indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l’abdicazione dell’intelletto e del senso morale davanti al principio d’autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un’idea». (Riproduzione riservata)
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