Informazione sanitaria: cosa dice la deontologia
EDITORIALE La pandemia si è rivelata un drammatico banco di prova per i giornalisti. Raccontare la malattia significa fare i conti con le domande di senso e con forti pressioni economiche e di potere
«Per far aumentare le immunizzazioni dei bambini occorrerà che aumentino i casi, ovvero che si inneschi un po' di paura nei genitori». Così Antonio D'Avino, medico, presidente della Federazione italiana medici pediatri (Fimp), intervistato dall’agenzia Adnkronos il 17 ottobre 2022 in merito ai casi covid fra i bambini. La dichiarazione ha sollevato più di una polemica, il Coordinamento 15 ottobre ha chiesto spiegazioni pubbliche alla Fimp, e contiene diversi elementi che vanno analizzati. Il primo è l’utilizzo del termine “immunizzazioni”: si tratta di un concetto errato, perché i farmaci sperimentali anti covid attualmente in commercio non sono in grado di fermare il contagio e non sono mai stati testati per questo scopo. È stato chiaro da subito (grazie ai foglietti illustrativi e al consenso libero e informato fatto firmare ai cittadini), è stato confermato dall’osservazione empirica della realtà (con il boom dei “vaccinati” contagiati), è stato ammesso pubblicamente al Parlamento europeo (con il nuovo capitolo del cosiddetto Pfizergate), eppure il termine “immunizzazione” è stato utilizzato per oltre un anno da esperti e media a sostegno della narrazione “Il vaccino è un atto d’amore”. Ma il vero elemento che sorprende è l’utilizzo della paura come arma di convincimento dei genitori.
La paura è stata il vero motore di una campagna “vaccinale” priva di basi scientifiche degne di questo nome. La paura ha consentito di trasformare l’informazione sanitaria in comunicazione, in narrazione. Non è questa la sede per affrontare i problemi scientifici di questa dichiarazione, per esaminare l’assenza di dati o la possibile violazione della deontologia medica, è però l’occasione per accendere i riflettori sulla possibile violazione della deontologia giornalistica.
L’11 gennaio 1995 Federazione regionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri dell’Umbria, Consiglio regionale Ordine dei giornalisti dell’Umbria e Ordine regionale degli psicologi dell’Umbria hanno firmato insieme la Carta di Perugia, ovvero la carta deontologica dell’informazione sanitaria. Come tutta la deontologia giornalistica, la Carta di Perugia è nata a tutela dei lettori, non dei giornalisti. In questo caso, al centro del documento vi sono i diritti del cittadino malato.
L’articolo 1 della Carta recita: «Sono pregiudiziali in ogni processo di comunicazione la valutazione dell’interesse generale, il rispetto del diritto del cittadino-paziente alla tutela della propria dignità personale, il diritto del cittadino-utente ad un’informazione corretta e completa». Cosa significa? Che l’inarrestabile diritto di cronaca deve rallentare di fronte alla malattia. Il trovarsi di fronte una persona resa fragile da una patologia deve frenare la penna del giornalista, portandolo a un processo ancora più rigoroso di verifica delle fonti. In gioco, dice la Carta, c’è la verità sulla salute. Su uno degli aspetti più preziosi della vita, un aspetto che prima o poi coinvolge tutti. Quando il giornalista scrive di sanità si avvicina alle domande di senso sulla vita, sfiora con penna e taccuino questioni che magari in quel momento tengono i suoi lettori svegli la notte, fra paura e speranza.
Paura e speranza: qui la Carta di Perugia si fa ancora più esplicita. E all’articolo 2 recita: «L’informazione e la divulgazione devono contenere tutti gli elementi necessari a non creare false aspettative nei malati e negli utenti, e devono essere distinte in maniera evidente e inequivocabile da ogni possibile forma di pubblicità sanitaria». Quando il giornalista affronta temi sanitari si scontra con pressioni enormi. Così, occorre il massimo rigore possibile per evitare che interessi di parte influenzino la verità dei fatti.
E ancora, all’articolo 7 la Carta recita: «È impegno comune la non diffusione di informazioni che possano provocare allarmismi, turbative ed ogni possibile distorsione della verità». Ci sono notizie che una volta diffuse possono scatenare il panico, possono influenzare la vita dei propri lettori, possono influenzare le decisioni della politica. Occorre anche in questo caso attuare un delicatissimo equilibrio fra esigenza insopprimibile di diffondere la verità e dovere deontologico di non provocare allarmismi. Porre il microfono davanti alla bocca di un paziente ricoverato in terapia intensiva a causa del covid, ad esempio, è una notizia? Serve allo spettatore per comprendere? Aiuta lo spettatore a conoscere la verità o apre a distorsioni pericolose?
La collaborazione fra giornalista e medico è fondamentale, ma non deve essere basata su un rapporto di sudditanza. Il medico offre la sua competenza e la sua deontologia, il giornalista deve fare lo stesso, altrimenti diventa comunicatore. Per tornare alla notizia iniziale, se il presidente della Federazione italiana medici pediatri ritiene corretto parlare così, lo può fare. L’addetto stampa della sua associazione raccoglierà la dichiarazione e la pubblicherà su sito istituzionale e relativi canali social. Il giornalista ha il dovere di riportare correttamente le parole raccolte durante l’intervista, ma ha anche il dovere di porsi come filtro tra la fonte e i lettori. Il giornalista non è lì per rilanciare, è lì per cercare. Può, anzi deve fare la seconda domanda quando riceve una dichiarazione che contiene elementi inesatti o fuorvianti. Può, anzi deve rifiutarsi di apporre la propria firma su un articolo che viola la deontologia giornalistica, dunque che può danneggiare i lettori.
Queste scelte hanno conseguenze: il medico in questione molto probabilmente non farà più invitare il giornalista alle conferenze stampa, non gli risponderà più al telefono, magari farà anche una telefonata al direttore del giornale. Ma se non si inizia a difendere la professione dall’interno, con quale credibilità si può chiedere sostegno esterno? I lettori devono conoscere queste dinamiche, devono sapere che se il giornalista cerca la verità rischia intimidazioni, emarginazione, a volte persino querele pretestuose. Il tempo presente è un drammatico banco di prova per i professionisti dell’informazione. (Riproduzione riservata)
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Quanto male hanno fatto certe informazioni pilotate; ci sono persone che vivono ancora nella paura e sono tante. Gli effetti avversi scatenati dalla vaccinazione rappresentano una realtà drammatica ma è altrettanto drammatico il terrore che è stato volutamente ingenerato, e non solo nelle persone fragili emotivamente, che non riescono più a vivere una vita pressocché normale e sono ancora paralizzate dalla paura; usano la mascherina all'aperto e vengono definite volgarmente covidioti. Anni di vita rubati. Non esistono scuse che possano essere accettate . La VERITA' ,come nella guerra, è la prima vittima del Male.
Grazie x queste informazioni, parole sacrosante che sono state e vengono ignorate dai più. Probabilmente quella Carta è considerata carta straccia dai media mainstream e non è neanche conosciuta dal pubblico. Io da quasi tre anni seguo solo i canali che sento veritieri e cerco di condividere in vari modi tra conoscenti e parenti, ma trovo quasi sempre un muro di gomma se non addirittura avversità, purtroppo. Penso sia veramente una grande battaglia culturale.