Twitter: separare il grano dal loglio
Secondo un’analisi di RaiNews le ultime limitazioni ai tweet porteranno i giornalisti ad abbandonare definitivamente il social di Elon Musk. Il pulpito conteso tra grandi firme e troll?
«Il diritto all’informazione dei cittadini è tutelato solo se chi nasconde o manipola la verità si assume la responsabilità di ciò che pubblica». Così scrive Valeria Muccifora su RaiNews il 3 luglio 2023 (il pezzo è intitolato “Twitter e il lungo addio dei giornalisti”), riprendendo un tema già affrontato su Notturno il 2 luglio scorso con l’articolo “Perché Twitter non funziona”. Nella sua analisi, la collega affronta la crisi di Twitter ricordando che: «Sono stati giornalisti e giornaliste di ogni nazionalità a creare negli anni il vero valore di Twitter come piccolo gigante rilevante e influente, generando e alimentando un ricco flusso di informazione disponibile in tempo reale per tutti in tutto il mondo».
La forza di Twitter è sempre stata nell’essere un grande hotel con giornalisti e comunicatori ospiti fissi ma aperto a tutti. Il grande giornalista poteva avere la suite (spunta blu regalata dall’alto), ma in corridoio, al parco, al ristorante e nella hall incontrava colleghi meno noti e lettori. Su Twitter informazioni (spesso), commenti (molto spesso) e notizie (a volte) diventavano così gratuitamente accessibili a tutti e commentabili da tutti.
Un sistema non perfetto, in parte colpevole di non rimandare abbastanza alle testate giornalistiche per le notizie complete, abituando lettori (e professionisti dell’informazione) a combattere attraverso slogan (molto gratificanti per “vincere” sul social ma molto poco utili nella comprensione della realtà). Ma anche un sistema capace di annullare le distanze tra grande firma del grande quotidiano e collega meno noto e lettore. E in grado di stimolare, almeno sulla carta, un certo rinnovamento (soprattutto con l’arrivo di Elon Musk): non basta più essere giornalista per avere l’ultima parola su tutte le notizie, è un ruolo che va confermato giorno dopo giorno dimostrando concretamente (anche nelle interazioni con gli altri utenti) la propria professionalità e deontologia.
Il punto debole dell’analisi di Valeria Muccifora è esplicitato nel passaggio: «Tanti giornalisti sono rimasti anche dopo lo svuotamento di senso delle spunte blu di verifica (che prima segnalavano, gratuitamente, i profili legittimi e rilevanti separando il grano dal loglio); la riabilitazione di cospirazionisti, razzisti, filonazisti, antisemiti, misogini, omofobi, etc». Etichette, anzi termini “calderone”, nei quali gettare di volta in volta ciò che si ritiene scomodo. Esistono utenti animati dall’odio e ispirati da teorie folli? Certo, come esistono persone reali animate dall’odio e ispirate da teorie folli. Ma il giornalista non è automaticamente “grano”.
Durante la pandemia quanti professionisti dell’informazione hanno rispettato quanto scrive Valeria Muccifora: «Per i media la verità è un obbligo (disattenderlo ha delle conseguenze), per l’altro una semplice opzione»? Durante la pandemia quanti professionisti dell’informazione hanno diffuso informazioni e notizie e quanti hanno rilanciato slogan? Durante la pandemia quanti professionisti dell’informazione hanno interagito con lettori e utenti usando professionalità e deontologia, in modo particolare riguardo l’informazione sanitaria?
Twitter non sta funzionando, le limitazioni al social sono limitazioni alla circolazione di informazioni, ma nel momento dell’emergenza, quando la diffusione delle notizie poteva fare concretamente la differenza fra salute e malattia, fra libertà e violazione dei diritti fondamentali, cosa ha fatto la stampa mainstream per conservare il proprio pulpito? (Riproduzione riservata)
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