Caro medico, ti scrivo
Sui social diversi giornalisti lanciano la protesta: «Non voglio farmi curare da un medico non vaccinato contro il covid». Una lettera aperta: «Caro dottore, prenditi cura della fragilità»
Caro dottore, in questi giorni non si fa altro che parlare della tua categoria. Diversi giornalisti hanno criticato aspramente la decisione del governo di reintegrare (in anticipo) il personale sanitario sospeso per aver detto “no” alla campagna di somministrazione dei farmaci anti covid AstraZeneca, Johnson&Johnson, Pfizer e Moderna. I professionisti dell’informazione si sono immaginati bisognosi di cure e hanno esplicitato che in quel caso non vorrebbero essere assistiti da medici privi di super green pass. Ma è questo il pensiero di una persona malata? Chi sta male vede un medico e gli chiede il certificato verde? Forse vale la pena riprendere anche qui su Notturno il gioco immaginativo dei colleghi.
Intanto, caro dottore, concedimi una premessa banale: se sono qui a parlare con te, magari nella frenesia di un pronto soccorso, è perché oltre che un cittadino sono un paziente. È perché in questo momento sto combattendo contro una qualche patologia. Mentre attorno a me sanitari corrono avanti e indietro e altri pazienti si lamentano io no, caro dottore, non voglio sapere quante dosi dei farmaci sperimentali anti covid hai ricevuto. Questa è una scelta che ogni persona avrebbe dovuto fare in piena libertà di coscienza e dopo aver ricevuto un’informazione sanitaria rigorosa e libera. Ciò, soprattutto in Italia, non è avvenuto, quindi la risposta apre scenari che ora non possiamo affrontare. Mi perdonerai dunque se, almeno in questo primo dialogo, non ho la forza né la lucidità per affrontare i risvolti etici, giuridici, politici e sociali della campagna anti covid.
Tu sei il professionista in grado di riconoscere i sintomi della malattia e la prima cosa che ti chiedo è: ascoltami. Poi dalle un nome. Fammela conoscere, fammi capire, spiegami di cosa si tratta. Fallo con professionalità, sii onesto ma non brutale: ricorda che la persona che hai di fronte riceve ogni parola della diagnosi come l’onda d’urto di una bomba atomica. Il paziente ha bisogno di conoscere la verità, anche se difficile e dolorosa, ma a volte ci sono croci troppo pesanti da sopportare in un colpo solo.
Io sono una persona, non sono la mia patologia, quindi non mi identificare con quella. La malattia è solo un tassello del mosaico della vita, ce ne sono tanti altri che continuano a riflettere la luce: non è un peccato dimenticarli?
Abbi pazienza, ma ti farò mille domande sulla malattia. Sì, alcune sono nate ascoltando i pareri contrastanti di tuoi colleghi, altre provengono da letture scientifiche e altre ancora dal mare tempestoso del web. Quando si è spaventati si bussa a ogni porta in cerca di risposte.
Poco importa che la patologia sia passeggera, lieve, grave o addirittura inguaribile: da te mi aspetto di essere curato. Sempre. Perché esistono malattie inguaribili, ma non esistono malattie incurabili.
Ci sono in commercio farmaci per curare questa patologia? Aiutami a fare un calcolo onesto dei costi e dei benefici. Da paziente so bene che ricevi pressioni dalle case farmaceutiche e forse anche dal tuo stesso Ordine, mi aspetto però che la tua deontologia e la tua coscienza ti portino a scegliere il farmaco più giusto per me. La cura più giusta per la mia condizione, che a parità di patologia non sarà mai uguale a quella di nessun altro paziente. No, caro dottore, proprio perché non ti vedo come una stampante di ricette mi aspetto da te la capacità di disegnare un percorso di cura personalizzato.
Se sono paziente sono fragile, se sono paziente mi devo mettere nelle tue mani: mi aspetto che al centro del tuo operare ci sia il rispetto della sacralità della vita umana, mi aspetto che agirai in favor vitae, non arrecando danno e cercando di limitare la sofferenza. Se sono paziente non mi importa nulla delle chiacchiere dei talk show e nemmeno degli editoriali delle grandi firme. Se sono paziente non me ne faccio nulla degli spot pubblicitari o del marketing camuffato da informazione sanitaria. Se sono paziente, caro dottore, ho solo una domanda: «Ti prenderai cura di me?». (Riproduzione riservata)
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Bellissimo articolo che esprime i sentimenti dei pazienti; questi ultimi non osano chiedere ciò che loro vorrebbero conoscere sulla patologia che li ha colpiti. Il medico con delicatezza, nel caso la malattia fosse grave, avrebbe il dovere di rivelare almeno in parte ciò di cui soffre.
Purtroppo oggi il medico fa parte di una delle categorie più inquinate. È raro trovare quello che si prende veramente cura del paziente. Hanno troppi pazienti sotto di loro, fanno solo ricette, non visitano e se stai veramente male, ti devi arrangiare, xchè non vengono a casa. A me dà l'impressione poi che siano poco preparati, sono pieni di nozioni, ma il vero medico, quello che capisce subito il problema, è veramente come l'ago nel pagliaio. Sarebbe da rifare tutta la sanità.