Da “no-vax” a “pro-Putin” il passo è breve
Cresce, anche sulla stampa, l’uso delle etichette ideologiche: unite all’ipersemplificazione del reale, consentono al potere di manipolare l’opinione pubblica su temi sensibili. Impossibile il dialogo
Ingabbiano il dibattito, censurano il dubbio, impediscono le analisi. Sono le etichette ideologiche, piccoli artifici retorici utilizzati per cementare la narrazione dominante. Termini “calderone” nei quali gettare ogni semplificazione e stereotipo. Nel dibattito pubblico devono essere rigettate in toto: ogni dialogo è impossibile se queste parole vengono imposte sopra ai fatti. Una delle etichette ideologiche più in voga negli ultimi anni è “novax”, multa semantica comminata alle persone contrarie alle vaccinazioni pediatriche obbligatorie e, nel 2021, estesa a chiunque osasse sollevare dubbi sui farmaci sperimentali anti covid o sul green pass. Come funziona la comunicazione che usa le etichette?
I media spingono sull’acceleratore della paura: la vita di tutti è in pericolo, l’unica soluzione possibile è l’inoculazione di massa dei nuovi farmaci sperimentali (presentati come vaccini etici, sicuri ed efficaci), ogni esitazione “vaccinale” allontana la fine delle restrizioni, ogni persona che non si reca all’hub “vaccinale” condanna a morte certa i fragili (e, soprattutto, rischia di impedire le vacanze ai possessori di certificato verde), e via dicendo. Un climax ascendente di menzogne che accende il conflitto orizzontale e sposta l’attenzione dell’opinione pubblica dai conti che non tornano nelle decisioni del potere ai sospetti su parenti, amici, colleghi e vicini di casa che, non rispettando le regole, danneggiano la quotidianità altrui. Questi sono i “novax”.
Perché il trucco funzioni però, la paura da sola non basta, pertanto la narrazione spinge sul conformismo: tutti gli esperti dicono di aver ricevuto serenamente (almeno) due dosi dei farmaci sperimentali anti covid, lo stesso vale per i cosiddetti vip, dunque chi vuole rischiare di trovarsi escluso dalla massa dei buoni? Manca un ultimo tassello ancora: per presentare i “novax” i media scelgono accuratamente rappresentanti impresentabili, personaggi da Bagaglino invecchiato male. Così, tra grafene e monete attaccate alle braccia, l’opinione pubblica finisce presto per credere che i “novax” siano tutti pittoreschi pagliacci o abili millantatori. Gli esperti e i buoni parlano di tutela delle persone fragili (platea che per tutto il 2021 ha compreso miliardi di persone), i “novax” parlano di 5G nelle fiale, di globuli rossi impilati su scaffali Ikea e di Terra piatta: da che parte stare?
Le etichette ideologiche sono strumento perfetto per la propaganda, che non a caso ha bisogno della costante ipersemplificazione dei concetti. Case farmaceutiche salvatrici dell’umanità e “novax” pericolosi diffusori di virus potenzialmente letali per i fragili (l’amore per i fragili è durato un anno solo, è vero, ma è stato commovente), esperti autorevoli e generosi dispensatori di pillole di scienza e “novax” pericolosi megafoni di teorie del complotto antiscientifiche. L’ascoltatore medio, che guarda il telegiornale durante la cena o scorre i titoli proposti da Google News in ufficio, non ha alcuna voglia di approfondire, confrontare le fonti, leggere, ma ha una certezza granitica: seguire la corrente. Le giornate sono già piene di problemi, perché dannarsi l’anima per quel piccolo dubbio che può essere facilmente tacitato con altre due ore di talk show?
Lo stesso avviene con i cosiddetti “pro-Putin” o “pagati in rubli” o “fan di Putin” o “putiniani”: chiunque non faccia il tifo per un conflitto mondiale è un burattino pagato dal Cremlino. Chiunque sollevi il problema del Donbass, in guerra dal 2014, è un propagandista russo. Così Vladimir Putin è il nuovo Hitler, Volodymyr Zelensky è l’eroe della nuova Resistenza e l’America è la sempreverde esportatrice di democrazia. Chi è esperto e buono sta dalla parte dell’America, gli altri sono spie e traditori. Il domani non è contemplato, tutto è un eterno presente fatto di frittate che vengono puntualmente girate dopo poche settimane, quando la verità torna a imporsi sull’ideologia. Ma a quel punto è pronta una nuova ipersemplificazione, con nuove etichette ideologiche e nuovi nemici immaginari da tratteggiare e gettare in pasto a un’opinione pubblica in perenne crisi adolescenziale. Che il potere giochi con la comunicazione per accrescere il proprio controllo sull’opinione pubblica è ingiusto ma prevedibile, che l’informazione si adegui a queste dinamiche è inaccettabile. (Riproduzione riservata)
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